I primi segnali positivi sono arrivati già a febbraio, con un incremento progressivo delle spedizioni verso l’Est Europa e una tenuta dei volumi su mercati storici come Germania e Regno Unito. Ma è il segmento degli spumanti, con in testa il Prosecco, a fare la differenza: non solo ha mantenuto la leadership nei consumi festivi internazionali, ma ha anche mostrato una crescita in mercati considerati stabili o addirittura in contrazione.
Particolarmente interessante è la dinamica russa. Dopo mesi di incertezza e oscillazioni doganali, le importazioni di vino dall’Italia sono cresciute in modo anomalo, spingendo alcuni osservatori a parlare apertamente di “scorte preventive”. Un fenomeno che non si vedeva con questa intensità da prima del 2022. Le aziende importatrici russe, preoccupate per possibili sanzioni commerciali incrociate o aumenti dei dazi, avrebbero deciso di anticipare gli acquisti, puntando su etichette già conosciute e posizionate sul mercato.
Questo comportamento, pur legato a un contesto di instabilità, ha prodotto effetti tangibili per le cantine italiane, molte delle quali avevano visto in Russia un canale commerciale fortemente compromesso. A beneficiare maggiormente di questa spinta sono state le realtà del Nord Est e dell’Astigiano, più strutturate nel canale B2B internazionale e pronte a gestire ordini consistenti in tempi brevi.
L’altro grande protagonista del trimestre è il comparto degli spumanti, che continua a mostrarsi resiliente anche nei periodi economicamente più incerti. Il vino frizzante italiano si è ormai ritagliato un ruolo centrale nei consumi globali, non solo come bevanda da occasione, ma anche come prodotto quotidiano, soprattutto nei mercati asiatici e nordamericani.
Dietro questi numeri ci sono politiche commerciali sempre più raffinate. Le aziende vinicole italiane stanno investendo in modo crescente sulla logistica internazionale, sulla comunicazione all’estero e sulla formazione del personale export. In parallelo, si assiste a una maggiore segmentazione dell’offerta, con l’introduzione di linee pensate esclusivamente per l’estero e di packaging adattati ai gusti e ai formati preferiti dai consumatori internazionali.
Il nodo, però, resta quello della marginalità. Anche in presenza di buone performance a livello di volume, molte aziende segnalano un problema di compressione dei margini, dovuto al rincaro dei costi logistici, alla svalutazione di alcune valute e alla necessità di investire in promozione nei mercati emergenti. La sostenibilità dell’export, dunque, non si misura solo sulla quantità venduta, ma sulla capacità delle imprese di mantenere una redditività accettabile in scenari sempre più instabili.
La crescente attenzione ai dati è un altro elemento chiave. Mai come in questo momento, il settore ha bisogno di leggere i numeri con lucidità e rapidità, per capire dove investire e dove ricalibrare gli sforzi.
Va considerato infine il tema della reputazione del vino italiano all’estero. Il primo trimestre 2025 sembra confermare che, nonostante la concorrenza crescente di paesi come la Spagna, la Francia e persino alcuni nuovi player dell’Europa dell’Est, il marchio “Made in Italy” continua a godere di un riconoscimento elevato presso buyer e consumatori. A pesare positivamente è la percezione di qualità e affidabilità, ma anche la capacità delle cantine italiane di comunicare un racconto fatto di territorio, tradizione e innovazione.
In definitiva, l’export vinicolo italiano riparte con segnali incoraggianti, ma anche con la consapevolezza che servirà uno sforzo collettivo per consolidare i risultati. La crescita del primo trimestre 2025 non può essere letta solo come una buona notizia a sé stante, ma come un invito a rafforzare la presenza nei mercati chiave e a investire su quelli emergenti, con attenzione, competenza e capacità di adattamento.