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I misteri dell'Aceto balsamico di Modena

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Ecco per sommi capi come si produce l’aceto balsamico e quali sono le sue caratteristiche basilari


I misteri dell'Aceto balsamico di Modena
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Chi di noi italiani, ma questo vale anche per molti stranieri, non conosce almeno per sentito dire l’aceto balsamico? Al di là del nome, l’aceto balsamico ha ben poco da condividere con l’aceto tradizionale, fosse anche quello di mele.

L’aceto balsamico è un prodotto tipico italiano, tipicamente emiliano, tipicamente modenese. Noto attraverso il mondo, all’aceto balsamico modenese sono dedicati club, convegni, mostre, dibattiti, degustazioni, gare. Ma al di là del folklore, va precisato che si tratta di un ingrediente culinario di altissimo livello (e spesso anche di costo), il quale è stato oggetto di una singolare tenzone giuridica condotta a livello europeo, per la quale si è scomodata persino la Corte di giustizia dell’Unione europea.

La battaglia, se si può dire così, vide tra i contendenti oltre all’Italia, la Grecia, la Germania, la Francia, e sul finire persino la Slovenia. In pratica si è trattata della rivendicazione della locuzione “Aceto balsamico”, che avrebbe potuto trarre inganno il consumatore, questione poi risolta (anche se non totalmente concordemente, la Francia si astenne) perfezionando i domini degli appellativi “Aceto balsamico tradizionale di Modena DOP”, “Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia DOP”, “Aceto balsamico di Modena IGP” e liberalizzando l’uso degli appellativi più generici basati sui termini di Aceto Balsamico, ma senza indicazione di località geografica.

Il segreto della raffinatezza gustativa dell’aceto balsamico -se non DOP (Denominazione di Origine Protetta che garantisce che il processo produttivo è stato svolto interamente nel determinato territorio) almeno IGP (Indicazione Geografica Protetta per la quale viene richiesto che almeno una delle fasi produttive sia stata svolta nell’area geografica determinata)- risiede in un mix complesso in cui s’intrecciano fasi produttive, “materie prime”, rispetto di parametri chimici (verificabili tramite analisi) oltre che di tempistiche produttive accertate (come per esempio le fasi di invecchiamento del prodotto).

Ma tutto questo non basta per garantire la produzione di un prodotto eccellente, speciale nella sua unicità, differente dagli altri concorrenti pur pregiatissimi.

Il perché risiede nelle numerose variabili che entrano in gioco in questa sorta di rito gelosamente custodito dai “sacerdoti” che detengono i segreti della produzione di questo nettare, che nessuno al mondo è riuscito ancora ad uguagliare. 

Molti, quasi tutti, forse tutti i componenti che entrano in gioco nella produzione dell’aceto balsamico sono noti: uve, travasi, cotture, invecchiamento, ecc. (tra poco li vedremo tutti), ma è -come sempre- l’imponderabile, il non misurale, il non quantificabile con certezza, a fare la differenza: la località, la qualità dell’aria, i venti, l’altitudine, la natura dei legni considerando le botti; a cui è il caso di aggiungere anche delle caratteristiche umane molto personali, quali l’attenzione, la dedizione, la delicatezza e la pazienza.

Vediamo quindi per sommi capi come si produce l’aceto balsamico e quali sono le sue caratteristiche basilari: tutto inizia a partire da un mosto ottenuto da vitigni “tipici della zona” (e questa è già la prima variabile); il mosto viene cotto a fuoco vivo così come si trova, quindi senza aggiunta di nessuna sostanza aromatizzata, e lasciato acetificare naturalmente in botticelle di “legni diversi”; il processo prosegue, all’insegna dei piccoli o grandi segreti famigliari, con una serie di travasi attuata con una “tecnica particolare”. Il mosto viene quindi lasciato stagionare in un ambiente “caratteristico” chiamato acetaia. Qui avverrà la trasformazione detta maturazione, un’operazione che richiederà lunghissimo tempo: attorno a 12 anni. È così che avverrà la naturale fermentazione e la progressiva concentrazione; è così che avverrà la metamorfosi, se ci possiamo permettere di definirla così.

Il risultato sarà (riprendiamo dalla bibbia dell’aceto balsamico di Modena) “un prodotto caratterizzato da colore scuro, carico e lucente; densità apprezzabile in una corretta, scorrevole sciropposità, bouquet caratteristico, fragrante, complesso ma ben amalgamato, penetrante e persistente, di evidente ma gradevole e armonica acidità, ecc.”. 

Si capisce bene, ancora una volta, la complessità della magia che risiede dietro questo piccolo miracolo, ammirato e invidiato da sempre, ma mai uguagliato per alcuni semplici motivi nella loro complessità. 

Intanto l’uva deve essere tipica della zona. Noi tutti sappiamo che il vitigno autoctono della zona è il Lambrusco. Oggi il Lambrusco eccelle in una varietà di qualità, anche di notevole valore, alcune degne di figurare su tavolate di alto lignaggio. Eppure, il Lambrusco nasce quale vino povero, quasi il resto che rimaneva al contadino dopo le lavorazioni. È un vino antichissimo, senza pretese, le cui radici viticole a volte si perdevano negli acquitrini del Po. Chi ha assaggiato questo Lambrusco “primario”, grezzo si può dire, rimarrebbe estremamente sorpreso dalla sua sgradevolezza, al punto da necessitare di essere mesciuto. Ma si tratta di una storia troppo lunga per essere raccontata qui, sulla quale si sono spesi fiumi d’inchiostro e che non è ancora finita.

Tutto questo per dire che “si fa presto a dire Aceto Balsamico”. Dietro c’è un mondo, c’è l’Uomo e la Natura, forse uno dei connubi più intimo, rispettoso e umile che esista. C’è l’attesa, la pazienza, la percezione dei mutamenti e dell’influenza degli elementi ambientali: il legno delle botti, il tempo che non ha fretta, la “crescita” lentissima di quel liquido vivo, l’aria che spazza la zona di produzione, l’altitudine in cui sono vissuti quei vigneti, l’esposizione al sole e all’acqua, la penombra e la calma delle acetaie silenziose. E poi, come dicevamo all’inizio, c’è l’imponderabile che non è casualità se non all’origine (moltissime scoperte in moltissimi campi sono dovute al caso: non per niente si dice che il caso è il più grande alleato del ricercatore). Oggi ciò che abbiamo chiamato impropriamente imponderabile, è la somma dei piccoli segreti, delle piccole attenzioni, dei piccoli “trucchi” (ci si passi la parola), introdotti nella produzione di questo “Aceto Balsamico”, per il quale non è ancora finita una guerra culturale che dura da trent’anni.

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