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Da una parte una dura critica al sistema dell'informazione e dall'altra una nobile critica al principio del giusto processo. Il professor Vittorio Manes, ordinario di Diritto penale nell’Università di Bologna, ha presentato di recente anche a Modena il suo libro Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo. Un volume, edito da Il Mulino, nel quale l'avvocato affronta le storture di quello che definisce 'voyeurismo giudiziario' che scivola in una deriva di una 'giustizia senza processo' ma legata a logiche imposte dai media che poco hanno a che vedere con il 'diritto di informare e di essere informati'.
'I media hanno trasformato la giustizia in spettacolo, portando nelle nostre case notizie di indagini e processi attraverso giornali e telegiornali, salotti televisivi e talk show.
E non si tratta purtroppo solo di informazione o di cronaca giudiziaria, bensì di una rappresentazione spettacolarizzata dove la corretta descrizione dei fatti viene sacrificata all'impatto sull'audience - scrive lo stesso Manes -. Si dà vita in tal modo a una sorta di processo parallelo incurante delle regole e delle garanzie individuali, facendo leva sull'indignazione morale del pubblico e generando scandali. Nel tribunale mediatico il diritto rischia di rimanere imbrigliato nel giudizio dell'opinione pubblica, che trasforma automaticamente l'indagato in colpevole, negandogli il diritto alla presunzione d'innocenza, e travolgendo molti altri diritti fondamentali'.
E così la 'presunzione di innocenza, garanzia primordiale, autentico fulcro del processo penale liberale, viene letteralmente rovesciata... Come in Alice dietro lo specchio, prima la condanna poi viene il processo e questa condanna anticipata rimbalza dai media ai social network dove dominano la cultura della vergogna, la divulgazione di dati sensibili a fini denigratori e la cultura della proscrizione.
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Imponendo al malcapitato una liquidazione anticipata del proprio capitale reputazionale che, quale sia l'esito del processo penale, non sarà mai risarcita'.
E nella parte finale del volume l'avvocato bolognese avanza il concetto di 'ecologia della informazione' come profilassi alle storture del processo mediatico. 'Non si tratta di alzare l'asticlella dei divieti o invocare la censura - scrive - ma piuttosto di promuovere una ecologia della informazione anche attraverso rating di correttezza e legalità dell'informazione fornita e un'opera di incentivazione premiale degli attori della comunicazione in base ad autorevolezza e accountability, basata sulla condivisione reale e fattiva di regole e principi'.
Ma se nel libro finiscono nel mirino i giornalisti, anche gli avvocati stessi non vengono risparmiati da critiche. 'Anche l'avvocato non di rado può lasciarsi irretire dalla forza seduttiva dei media e persino alimentarne il flusso, fornendo atti processuali o elementi di riscontro partecipando così (ma accade molto di rado) al reticolo carsico delle reciproche compiacenze tra uffici giudiziari, organi di polizia giudiziaria o studi legali e testate giornalistiche. Quando l'avvocato si presta a questo gioco, per ricerca di visibilità o anche solo per tentare di tutelare più efficacemente la parte assistita, lo fa a suo rischio e pericolo, perchè difficilmente governerà le correnti di opinione che si agitano nel vortice mediatico, dopo il passo dai campi Elisi alle paludi dello Stige può essere davvero breve'.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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