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'Per molti internati le case lavoro anziché una opportunità di reinserimento nella società, rischiano di diventare un circolo vizioso dal quale è difficile, in alcuni casi impossibile, uscire'. A ribadirlo è Tatiana Boni, avvocato, dell'Osservatorio Carcere Camera Penale di Modena e rappresentante della Camera Penale Carl'Alberto Perroux al convegno organizzato da Unimore e Camera Penale intitolato 'Le misure di sicurezza detentive in casa lavoro: fine “pena” incerto per persone vulnerabili', svoltosi presso il dipartimento di giurisprudenza. Un convegno che ha visto la presenza di Valerio Onida, Presidente emerito della Corte Costituzionale, e concluso dall'intervento del Cardinale Matteo Maria Zuppi - Arcivescovo di Bologna (nel video l'intervento del vescovo di Bologna)
'Capita che l'internato entri in un circolo vizioso perché per uscire dalla casa lavoro bisogna che sia dato il giudizio di pericolosità sociale sul soggetto.
Per fare sì che venga dichiarata la cessazione della pericolosità sociale è necessario avere un alloggio, un lavoro una fonte di reddito. Quindi - prosegue Tatiana Boni - succede che molto spesso queste condizioni non ci siano, soprattutto quando alle spalle l'internato non ha una famiglia sulla quale potere contare. Quando viene riesaminata periodicamente la pericolosità sociale di un soggetto capita che la decisione sia nuovamente prorogata perché non ci sono gli elementi tali per cui ritenere che quella persona si asterrà dal commettere nuovamente dei reati'
'Ed è così che, nel lavoro all'interno del carcere, capita spesso di incontrare - racconta una operatrice chiamata ad illustrare la propria esperienza - persone che pur senza avere commesso gravi reati, è internato, anche se conoscendo brevi periodi di uscita, anche da trenta o quaranta anni. E non per essere un pericoloso delinquente, ma per essere semplicemente un barbone'
Gi.Ga.
Redazione Pressa
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