23 novembre 1980, esattamente quarant'anni fa, la prima, terribile, scossa che sconvolse l'Irpinia, alla fine i morti ufficiali furono 2914, gli sfollati 280mila. L'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini si recò sul posto e constatò i gravissimi ritardi nei soccorsi. In un drammatico discorso televisivo denunciò le intollerabili mancanze dello Stato. Contemporaneamente, tanti giovani partirono da tutte le regioni per aiutare i terremotati. Da Vignola lo fecero tre ragazzi, ho incontrato uno di loro, Carlo Valmori, uno dei fondatori de Il Lambicco, il primo centro sociale nato in provincia di Modena.
Carlo, raccontami come mai decideste di partire per l'Irpinia.
'A Vignola c'era un gruppo di anarchici libertari che si occupava di temi sociali, avevamo appena costituito una cooperativa di giovani agricoltori nel 1979, io ne ero il presidente, eravamo un nucleo attivo, appena c'è stato il terremoto ebbi immediatamente il desiderio di andare giù.
Volevamo partire autonomamente ma ci venne sconsigliato. A Modena stavano organizzando dei viaggi tramite la Provincia, all'interno di un piano regionale, fai conto che non c'era la Protezione civile. La Regione aveva però costituito una struttura che di fatto lo era. Da Vignola partimmo in tre, raggiungemmo il campo dell'Emilia Romagna, a Baragiano Scalo, in provincia di Potenza. Un paese colpito, ma non tra i più colpiti'.
Quale situazione trovaste?
'Noi arrivammo a due settimane dal terremoto. Il campo era montato e cominciammo a fare quello che ci veniva chiesto, ci si divideva in squadre e poi andavamo a montare tende, baracche o portare in giro medicinali e abiti. Una delle cose che mi impegnò di più era andare nelle zone più isolate dove i soccorsi non erano ancora arrivati a portare i primi aiuti, ovviamente usavamo dei fuoristrada.
Ricordo una casa di contadini, isolata, gli era venuta giù la stalla e noi gliene costruimmo una in legno. Il problema era che la casa era in mezzo ai boschi e la strada si interrompeva, perciò dovevamo prima scaricare tutto e poi a piedi e in mezzo alla neve, caricare travi e attrezzi in spalla e raggiungere la casa. Molti animali erano sopravvissuti ma con la neve rischiavano di morire. Sotto la stalla c'erano i resti di un maiale, abbiamo dovuto scavare per tirarlo fuori. Successivamente iniziai a lavorare nel magazzino dei vestiti, di cui poi divenni responsabile'.
Alcune persone furono trasferite in altre località più sicure?
'In quel momento si cercava di dare rifugio nei campi, non c'era l'organizzazione per spostare le persone in altri comuni, cosa che poi è avvenuta. La gente comunque voleva rimanere lì, nessuno si sposta volentieri da casa sua. Fai conto che noi arrivammo dopo 10/14 giorni dall'evento, c'erano ancora persone senza il posto letto, poi pioveva, la situazione era veramente brutta'.
Ci furono gravi ritardi nei soccorsi, quali furono le ragioni?
'La causa dei ritardi fu l'assenza della Protezione Civile, ogni comune si doveva arrangiare. Il Commissario del Governo Giuseppe Zamberletti suddivise l'area del terremoto in zone che furono affidate alle singole regioni. Noi come Emilia-Romagna avevamo la nostra, andavamo comune per comune a portare gli aiuti. Lì trovavi sindaci, assessori e tecnici che ci dicevano di cosa avevano bisogno, erano tutti abbandonati'-
Mi puoi raccontare qualche vicenda che ti colpì?
'Ti racconto la storia di Muro Lucano, uno dei comuni più distrutti. In quel paese andarono i ragazzi di Autonomia Operaia e di Potere Operaio provenienti da Roma e Napoli, la cosa fece scalpore perché erano considerati vicini alle Brigate Rosse, erano visti come il fumo negli occhi. Noi eravamo vicini a quell'area e decidemmo di andare a trovarli, una mattina prendemmo una jeep e partimmo per Muro Lucano, un viaggio terribile, in mezzo alle zone terremotate, poi Muro è in mezzo ai boschi, su una montagna, un posto isolatissimo, un sacco di deviazioni, non c'era Google Maps, usavamo le cartine. Dopo mille peripezie raggiungemmo Muro Lucano, volevamo farci raccontare com'era la situazione lì. A due settimane dalla prima scossa gli unici a raggiungere il paese erano stati quelli di Autonomia Operaia, avevano costruito, la mensa, la farmacia, un asilo per i bambini, c'era tutto, dai vestiti alle medicine. Gestivano col sindaco e le autorità locali. Dopo 10 giorni leggemmo sui giornali che arrivarono a Muro Lucano gli aiuti 'ufficiali' e i ragazzi furono tutti allontanati dai carabinieri, cacciati dopo tutto quello che avevano fatto'.
Chi erano i volontari che si recarono in Irpinia? A quali aree appartenevano?
'La maggior parte dei volontari apparteneva alla sinistra extraparlamentare, al Movimento del '77, il più a destra era del PCI. poi c'erano anche i cattolici, ma è sempre stato così. Io sono stato in Jugoslavia durante la guerra, anche lì i volontari o erano della sinistra rivoluzionaria o cattolici. Fu così anche durante l'alluvione a Firenze. Ovviamente tra noi e i cattolici non c'era nessun contrasto, si lavorava insieme'.
Quanto tempo sei rimasto?
'Io rimasi una decina di giorni, i turni erano di sette, ma come responsabile del magazzino vestiti rimasi tre giorni in più per istruire i ragazzi del turno successivo; presi poi il treno e da solo tornai a Vignola. Al campo conobbi alcuni ragazzi modenesi che frequentavano i Centri Giovani del Comune di Modena, erano tutti del PCI. Quando occupammo il Lambicco, li chiamai per l'incontro col Sindaco di Vignola, a sostenerci, eravamo molto legati dopo l'esperienza di Baragiano'.
Hai qualche ricordo legato alle persone del posto?
'No, noi eravamo abbastanza isolati, il campo base era fuori dal centro abitato, non eravamo in paese. C'era comunque un gruppetto di noi che aveva il compito di contattare i ragazzi di Baragiano, ma io non ero uno di quelli. Ricordo che a loro fu detto di non parlare, per nessuna ragione di politica. I dirigenti della Regione avevano paura che noi rivoluzionari potessimo far scoppiare delle sommosse'.
Durante la tua permanenza al campo, ci furono mai tensioni tra voi?
'Una volta noi volontari ci ribellammo contro la dirigenza, doveva venire al campo Lanfranco Turci, allora presidente della Regione. Noi mangiavamo sempre sotto un tendone aperto, c'era un freddo cane. I dirigenti della Regione avevano un'altra mensa, che tra l'altro era frequentata anche dai membri dell'Esercito, visto che lì si mangiava bene. Scoprimmo che per l'occasione, da Bologna, sarebbero arrivati anche i tortellini, non ci abbiamo più visto. Alla fine i tortellini arrivarono anche per noi'.
Ci furono molte altre scosse durante la tua permanenza?
'Le scosse c'erano di continuo, noi dormivamo in una baracca riscaldata solo con una stufa elettrica, di notte si gelava, tra l'altro non ricordo di aver fatto una doccia in dieci giorni. Noi eravamo tranquilli perché comunque una baracca non ti può crollare in testa, ma le scosse erano davvero forti. Fai conto che quando ci fu il terremoto da noi, nel 2012, io la notte dormivo tranquillo e beato, mi sono totalmente abituato al terremoto'.
Arrivavano voci di rivolte o tensioni fra i terremoti?
'Qualcosa sì, qualcuno che si arrabbiava per i ritardi nei soccorsi. Quando arrivò Pertini, si vedevano le persone che scavavano a mani nude, almeno la metà dei morti sono dovuti ai ritardi nei soccorsi, la gente moriva di inedia sotto le macerie, erano brave persone non abituate a protestare'.
C'era il timore di furti?
'C'era una grossa paura dei furti nei campi base, uno dei miei compiti era proprio quello di vigilare che le person e che accedevano al campo fossero autorizzate. Ti racconto un episodio, una volta sparirono degli eskimo nuovi di pacca. A noi volontari die dero delle giacce che però non tenevano caldo e avevamo sempre freddo. Quando mi accorsi di quei 4/5 eskimo, ci misi immediatamente gli occhi sopra. Lo dissi agli altri, ci furono delle resistenze perché non avevamo l'autorizzazione, ma una sera il freddo era davvero pungente e decidemmo di andare a prenderli. Con sorpresa di tutti, gli eskimo erano spariti, io poi scoprii chi li fece sparire, erano stati i dirigenti! I giorni precedenti avevo visto che li guardavano con interesse'.
Il problema del freddo come avete fatto a gestirlo?
'Eravamo sempre all'aperto, sotto la tenda c'era sempre aria fredda, la baracca dove dormivamo era gelata, probabilmente abbiamo resistito solo perché avevamo vent'anni'.
Qual è stata l'immagine che più ti è rimasta impressa?
'Muro Lucano, un paese sbriciolato. A Baragiano era come da noi in Emilia, c'erano case crollate ma anche case in piedi. A Muro niente, lì vivevano tutti in tenda o nel campo sportivo, la situazione era davvero brutta'.
Tra voi del Movimento, c'era un coordinamento, eravate sempre in contatto?
'Noi compagni cercavamo di coordinarci tra di noi per controllare che gli aiuti arrivassero direttamente a chi di dovere, c'era il pericolo che potessero essere intercettati e finire sul mercato nero. Ma più di tanto non potevamo fare, i turni erano brevi, i compagni indesiderati furono allontanati, non c'era la possibilità di lavorare politicamente. Io ho ancora un foglio con tutti i numeri di telefono dei componenti di questo coordinamento. Un ruolo importante lo ebbero alcune radio libere, a Muro Lucano i compagni gestivano una radio che comunicava ciò di cui avevano bisogno al campo, noi a Baragiano no, le avevano solo i gruppi autogestiti, noi ovviamente le ascoltavamo per tenerci aggiornati e conoscere le altre realtà. Leggevamo alcune notizie sui giornali, ma grazie alle radio sapevamo che la realtà era diversa. C'erano anche quelli di Lotta Continua, ho ancora un volantino originale nel quale lanciano un appello per andare giù a dare una mano'.
Vi hanno fatto fare il lavoro sporco in attesa dei soldi da spartirsi.
'Esatto, nei fatti sì. Fu una lezione per capire come girava il mondo, io all'epoca avevo solo 24 anni'.
Quale fu il sentimento prevalente durante il tuo viaggio di ritorno?
'Avevo fatto il mio dovere, ma c'era anche molta tristezza. Noi al campo non eravamo autonomi, decidevano sempre i dirigenti. si poteva fare di più'.
Hai mai conosciuto qualche terremotato dell'Irpinia che si trasferii a Modena, Vignola?
'No, però so che nel 2012, l'allora sindaco di Baragiano, venne da noi a portare degli aiuti per il nostro terremoto'.
Sei rimasto in contatto con le persone di Vignola che partirono con te?
'Sì, una era la mia fidanzata dell'epoca e l'altro compagno, uno dei soci della cooperativa agricola con cui ho lavorato per dieci anni. Di quell'esperienza parlavamo poco, avevamo sempre temi e progetti nuovi da sviluppare. Gestivamo Il Lambicco, c'erano sempre cose nuove da fare'.
Stefano Soranna