Bakhmut è caduta, non per la RAI e i giornali italiani

L’intero sistema informativo sia diventato un docile e servile strumento di propaganda del regime nazionalista ucraino
Nel suo discorso a Washington, applaudito dal Congresso americano, il 21 dicembre dell’anno scorso il presidente ucraino Zelensky aveva proclamato che “i combattimenti per Bakhmut cambieranno la traiettoria della nostra guerra per l’indipendenza e la libertà”.
La contesa per Bakhmut è arrivata invece al suo epilogoodierno con la sanguinosa sconfitta dell’Ucraina, e in primo luogo del suo presidente che, principalmente per ragioni d’immagine, ha preteso dai suoi una resistenza fino all’ultimo uomo.
Non sappiamo ancora quanto questa battaglia influirà sull’intero corso della guerra, ma di sicuro questo è stato il più importante evento bellico dopo la conquista di Mariupol del maggio 2022.
Eppure, la RAI e i nostri giornali, quasi all’unisono, hanno invece passato la notizia quasi sotto completo silenzio. Non si poteva rovinare proprio oggi la festa del G7 in Giappone e gli ostentati baci e abbracci (la Meloni, al solito, la più incontenibile) con cui i potenti della terra hanno accolto la visita pastorale del capo di Kiev, alla sempre più disperata ricerca di armi e soldi. Nel fargli festa il presidente francese Macron ha avuto il pubblico coraggio di definirlo un “game changer”.
Nei TG della TV pubblica, quasi ai titoli di coda, è stata data la striminzita notizia della dichiarazione di Yevgeny Prigozhin, capo della Wagner, sul completo controllo sulla città, a cui è stata fatta immediatamente fatto seguire la smentita dello stato maggiore ucraino, secondo il quale i combattimenti in città invece “continuano”.
Non c’era bisogno di questa conferma, per quanto clamorosa, di come l’intero sistema informativo sia diventato un docile e servile strumento di propaganda del regime nazionalista ucraino e della NATO, al punto di cancellare la realtà fa a pugni con la propria verità. Un tempo questa era una delle prerogative delle dittature, ora lo è diventata di quella che chiamano “democrazia”.
Giovanni Fantozzi
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