All’indomani della trionfale vittoria su Kamala Harris, i toni distensivi assunti in campagna elettorale e il roboante annuncio che avrebbe portato “la pace nel mondo” e messo fine a tutte le guerre, hanno via via lasciato il posto a un crescendo di dichiarazioni bellicose: il Canada dovrebbe diventare il 51° stato degli USA, il canale di
Tale formula di negoziato sarebbe uno schiaffo in faccia non solo per l’Ucraina, che vedrebbe il proprio destino platealmente deciso sulla propria testa, ma anche per la NATO e per l’Europa, trattati pubblicamente come inutili vassalli dopo gli enormi sforzi militari ed economici profusi per supportare Zelensky.
Anche i mastini della guerra di Washington si rendono conto che sul piano militare per Kiev non ci sono prospettive di vittoria. Dopo il sanguinoso fallimento della controffensiva dell’estate del 2023 nella regione di Zaporizhya, le truppe di Kiev hanno continuato a perdere lentamente ma costantemente terreno e a dissanguarsi. Le brigate sono ormai ridotte all’osso e l’amministrazione Biden ha più volte chiesto all’Ucraina di abbassare l’età della mobilitazione a 18. E’ la cruda legge delle guerre per procura: noi americani mettiamo i soldi e voi dovete mettere sul piatto le vite dei vostri figli. Una misura così drastica, sempre respinta da Kiev, avrebbe solo l’effetto di una nuova ondata migratoria all’estero, e certo non sarebbe in grado di raddrizzare le sorti del conflitto.
Si può dare credito a Trump quando dice che con lui presidente questa guerra non sarebbe deflagrata, ma il bilancio fallimentare di questi ultimi tre anni non può essere solo scaricato sul proprio predecessore, dal momento che tra il 2017 e il 2021, negli anni in cui il deep state statunitense preparava febbrilmente l’Ucraina allo showdown con la Russia, il presidente era lui e non Biden. E certo un personaggio come lui non ammetterà mai che la radice dei rovesci politico-militari nelle steppe ucraine deve essere ricercata nelle difficoltà strutturali dell’impero americano, sempre meno capace d’imporre la propria agenda al mondo.
Se per l’alfiere di America first non è semplice accettare che la conclusione della guerra rappresenti la manifestazione anche simbolica del declino statunitense, sarà ancor più problematico individuare una soluzione che possa essere presentata come un compromesso e non una pura e semplice capitolazione. Certo, il sentiero delle trattative si presenta molto stretto e di sicuro non basteranno le 24 ore promesse in campagna elettorale per raggiungere un accordo di pace, tanto meno ora che i russi sono consapevoli di avere la vittoria a portata di mano e che quindi saranno assai meno inclini alle concessioni.In una recente intervista, Nikolai Patrushev, forse il più stretto collaboratore di Vladimir Putin, ha ribadito i punti fermi del Cremlino sulle eventuali trattative. Innanzitutto, i russi respingono fermamente qualsiasi ipotesi di cessate il fuoco e di congelamento del fronte; memori dell’inganno degli accordi di Kiev mediati dagli europei, temono che si tratti solo di un escamotage per dare tempo all’Ucraina di riarmarsi e di riprendere la guerra in un prossimo futuro. Patrushev ha inoltre ribadito che non può esserci alcun margine di trattativa sul riconoscimento internazionale della piena sovranità della Crimea e delle quattro regioni ex ucraine entrate a far parte in via definitiva della Federazione russa. I negoziati sull’Ucraina dovrebbero essere condotti da Russia e Stati Uniti, senza la partecipazione di altri paesi occidentali poichè “non c’è niente di cui parlare con Londra e Bruxelles”.
Non è sorprendente l’atteggiamento sprezzante che Washington e Mosca stanno riservando alle élite europee, escludendole esplicitamente da qualsiasi negoziato. E’ il premio meritato alla servile passività, amplificata da media ancor più servili, con cui hanno obbedito in questi tre anni a qualsiasi imposizione americana, ai colossali costi che hanno caricato sulla pelle dei cittadini europei per sostenere il regime di Kiev e la sua guerra, al silenzio che hanno mantenuto sul gravissimo attentato al gasdotto Nord Stream, alla perdita di competitività e al collasso delle propria industria pesante provocati dall’innalzamento dei costi energetici.
Al là di ogni giudizio che si può formulare su Trump, non si può non riconoscergli il realismo che sta manifestando su questa guerra, una qualità che continua a mancare completamente, e con ben poche eccezioni, alla classe politica europea, ancor oggi in fila a Kiev per omaggiare Zelensky e promettergli ogni sostegno. L’improbabile ministro degli esteri europeo, l’estone Kaja Kallas, ha riaffermato in questi giorni che l’Unione europea continuerà a sostenere l’Ucraina anche se gli USA smetteranno di farlo. E per non essergli da meno, proprio ieri il ministro della difesa italiano Guido Crosetto ha rassicurato il traballante presidente ucraino che “è giunto il momento per l’Italia di aumentare gli aiuti” a Kiev. Un altro carico da 90, come l’ex premier olandese Rutte, ora parcheggiato alla presidenza della NATO, è arrivato a dire che gli europei devono spendere meno in sanità e pensioni e raddoppiare i fondi per la difesa “se nei prossimi 4-5 anni non vogliono scegliere tra frequentare corsi in russo o emigrare in Nuova Zelanda”. Non dubitiamo che con la presidenza Trump una parte di questa classe dirigente proverà a riposizionarsi per sopravvivere, la Meloni in primis. Ma chi pagherà per le macerie politiche ed economiche in cui hanno ridotto l’Europa?Giovanni Fantozzi
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