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Correva il 6 maggio 1976: il terremoto in Friuli

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Cinquanta interminabili secondi, in balia di 6.4 gradi di scala Richter, che sembrano una vita. Che in quasi mille casi, purtroppo, valgono la vita


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6 maggio 1976

Sembrava una sera come tante altre, quel 6 di maggio, in Friuli. Una calda serata di primavera, come calda può esserlo da queste parti, Carnia profonda, nord di Udine. La gente rincasa come ogni sera per godersi la famiglia o gli amici. Il ritmo del fine giornata, in quel 1976, non è ancora scandito dal moderno “apericena”, ma dal tg2 delle sette e mezza, oppure dal “TG nazionale” di Rai 1, alle otto. I bambini cominciano a sognare la fine della scuola, ma per stasera sperano intanto che il carosello duri ancora qualche minuto, che poi si va a letto. I genitori invece pensano che è giovedì, e si avvicina il fine settimana per potere riposare. Per carità, niente week end al mare, questi arriveranno tra una ventina di anni.

Solo una tregua alle fatiche del lavoro, che tra l’altro è sempre meno sicuro in questa fine di decennio che si preannuncia piuttosto “agitato”. Ma è sera, e ci penseremo domani…Ad un tratto, la quiete è interrotta da un boato spaventoso. Come un mostro che si annuncia lugubre da lontano, poi cinquanta interminabili secondi, in balia di 6.4 gradi di scala Richter, che sembrano una vita. Che in quasi mille casi, purtroppo, valgono la vita!  Le conseguenze del passaggio del mostro saranno sconvolgenti. Per la vecchia scala Mercalli, in uso allora, decimo grado, che recita: completamente distruttiva!

Gemona, Artegna, Venzone, paesi sconosciuti ai più, diventeranno nomi tristemente famigliari. 990 morti, 45 paesi letteralmente rasi al suolo e una quarantina in condizioni disperate, per un totale di circa 600 000 sfollati.


La gestione della ricostruzione fu affidata a Giuseppe Zamberletti, sottosegretario all’interno dell’ennesimo governo monocolore democristiano guidato da Aldo Moro. Al Commissario del Governo fu data letteralmente “carta bianca” per la gestione dei fondi, di concerto con il Presidente della regione Friuli, democristiano anche Lui, Antonio Comelli. Grazie ad una seria e attenta politica e ad una progettualità da manuale, in 10 anni la ricostruzione potrà dirsi conclusa in ogni suo aspetto. I risultati, manco a dirlo, sono a disposizione di tutti coloro i quali volessero “farsi un giro” nelle zone.

Fin troppo facile per il lettore immaginare dove ci porta il percorso, ovvero al parallelo con il sisma che colpirà l’Emilia Romagna esattamente 36 anni dopo. Confronto inevitabile quanto, temo, impietoso. Ci addentriamo in questa “pericolosa” dissertazione, tuttavia, con la massima attenzione a non accodarci ai cosiddetti “sciacalli politici”, pronti a cavalcare anche il minimo artificio dialettico o numerico per gettare fango su chi gestisce il processo di ricostruzione. Spesso, ovviamente, per un mero quanto presunto tornaconto di tipo “elettorale”. E premettiamo dunque che difficile è fare un confronto tra “epoche” (quasi ere) completamente diverse. Ma quello che salta agli occhi, con il dovuto, sacrosanto e sentito rispetto per i morti (ventisette o mille sono la stessa cosa), è innanzitutto che a favore della ricostruzione emiliana dovrebbe giocare la differenza piuttosto evidente tra le dimensioni dei due sismi e le loro conseguenze. Per il confronto ci aiuta poi il fatto che il sistema e la filosofia di gestione della ricostruzione seguita ai due disastri, non fosse concettualmente e operativamente molto differente. L’impressione è, tuttavia, che la burocrazia (nella quale gli amministratori emiliani ed il PD in generale sono maestri ed inarrivabili “produttori”) e la conclamata “imbalsamazione” della classe dirigente, (spesso più attenta agli equilibri politico economici che all’efficienza della azione), siano i dati che faranno la differenza. Tra una gestione, quella del ‘76, che è ricordata come la migliore e più efficiente di sempre e una che pare arrancare “un tantino”, sotto tanti aspetti. Non tutti, per carità! Tra i più colossali, ahinoi, proprio quello relativo alla progettualità (tanto per cambiare, potrebbe dire qualcuno). Ecco. proprio perché non vogliamo passare per sciacalli, saremmo per darci appuntamento al 2022, quando dieci anni saranno passati anche per noi, e le “fotografie” potranno in un certo qual modo definirsi “coeve”. Tanto, siamo quasi sicuri di ritrovare le stesse facce, ad attenderci…

 


Redazione Pressa
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