Io sono di terra, io sono di fuoco: la personale di Wanda Benatti
La tecnica Raku, centrale negli ultimi lavori dell’artista, implica un'interazione diretta con il fuoco, il cui effetto sulla materia è imprevedibile
Le opere in mostra sottolineano gli ultimi esiti dell'artista, che giunge a un linguaggio essenziale, caratterizzato dall'uso esclusivo del bianco e nero e dalla centralità del segno, che dinamicamente si sposta dal supporto bidimensionale alle superfici convesse della ceramica. La mostra, celebra questa nuova fase in cui l'immediatezza del gesto e la densità della materia si fondono, anche grazie all'imprevedibilità della tecnica Raku. In questo incontro tra segnicità e plasticità si coglie una delle cifre più originali dell’artista: il segno non rimane confinato al foglio ma migra sulle superfici convesse, integrando nelle sue trame le irregolarità della materia.
Viviamo immersi in un flusso costante di immagini, colori e informazioni e le nostre giornate sono saturate da stimoli visivi che urlano per avere la nostra attenzione, lasciandoci spesso esausti e disconnessi. In questo scenario rumoroso, incontrare l'opera di Wanda Benatti è un atto di decompressione visiva, un invito a entrare in uno spazio di quiete significante. Nel suo lavoro più recente, ha compiuto una scelta radicale e controcorrente: abbandonare il colore per esplorare l'essenza pura del bianco e del nero, della terra e del fuoco. I suoi stessi appunti rivelano e sottolineano questa rinuncia consapevole al colore a favore del nero, inteso come forza ancestrale e primordiale che facilita l'unione meditativa con la natura e l'essenza delle cose.
Questa decisione, si rivela un percorso di arricchimento profondo. Attraverso le sue chine su carta e le ceramiche Raku, Benatti non si limita a creare opere d'arte, ma offre spunti di riflessione sorprendenti e universali sulla creatività, la natura e il nostro posto nel mondo. Il suo viaggio ci insegna che, a volte, il primo passo per trovare l'essenziale è un atto di riduzione. Per Wanda Benatti, la scelta di usare solo il bianco e il nero non rappresenta una limitazione, ma il primo, fondamentale passo in un percorso di riduzione verso l'essenza. È un modo per raggiungere una maggiore profondità, un riparo dal superfluo. Nelle sue stesse parole, il nero non è assenza, ma un luogo denso di significato, uno spazio di pace e potenza dove tutto si concentra e si rigenera.
In un mondo che spesso associa la creatività a un'esplosione cromatica, questa idea è incredibilmente potente. Benatti descrive il nero non solo come una 'sinfonia irrinunciabile', ma come 'Potenza primordiale', 'Magma vulcanico' e spazio di 'pace e rigenerazione'. È un invito a riconsiderare il significato del vuoto, scoprendo come l'essenziale possa contenere 'la scintilla più fascinosa che esista', infinitamente più ricca dell'abbondanza. L’uso della natura come strumento, sia nelle chine che nelle ceramiche, utilizzando acqua e erba, terra, capelli o piume, costruisce un dialogo umile e paritario con la materia. L'arte non è un'imposizione sulla natura, ma un atto di collaborazione, un respiro condiviso in cui la distinzione tra chi crea e cosa viene creato si dissolve in un sentimento di appartenenza e gli elementi naturali non sono più solo soggetti da ritrarre, ma diventano prolungamenti del suo gesto, strumenti per unire il sé al mondo.
La stessa appartenenza che viene sancita dalla scelta di cedere al caso il controllo nelle ceramiche raku. La tecnica Raku, centrale negli ultimi lavori dell’artista, implica un'interazione diretta con il fuoco, il cui effetto sulla materia è imprevedibile. L'artista non cerca di imporre un dominio assoluto sull'opera; al contrario, come nota il critico Pasquale Fameli, 'l'imprevedibilità trasformativa del fuoco sulla materia... diventa parte integrante del processo creativo'. Questa accettazione dell'imprevisto è radicata in una sensibilità filosofica, influenzata dalle culture orientali. Questo approccio esalta valori come 'il transitorio e l’imperfetto'. Le crepe e le variazioni di tono non sono difetti, ma testimonianze poetiche di un dialogo con l'ignoto. Questo suggerisce un modello per navigare la vita stessa: la vera crescita non deriva da una pianificazione rigida, ma da una danza con l'imprevedibile, trovando bellezza nelle imperfezioni che segnano il nostro viaggio e trasformando le 'fragilità in qualità poetiche'.
In un mondo che ci spinge costantemente ad aggiungere, a fare di più, a riempire ogni vuoto, il percorso di Wanda Benatti ci lascia con una domanda fondamentale: cosa potremmo scoprire se, per una volta, provassimo a togliere, a lasciare spazio al silenzio per far emergere l'essenziale?
Letizia Rostagno
Da anni Lapressa.it offre una informazione indipendente ai lettori, senza nessun finanziamento pubblico. La pubblicità copre parte dei costi, ma non basta. Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci segue di concederci un contributo. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di lettori, è fondamentale.
Compagnia delle Mo.Re.: i protagonisti del musical modenese
Vignola, la storia dei Raf Punk con il libro di Laura Carroli
Modena, domani al Comunale il concerto per i 90 anni dalla nascita di Pavarotti
'Grazie Islam': a Modena Franco Cardini presenta il suo libro
Musica Sacra: il Requiem di Mozart alla chiesa del Voto
Modena ricorda Mimmo Jodice con la fotografia della Secchia rapita
2046 - L’Anno della Croce: il romanzo del modenese Robby Giusti primo su Amazon
Festival della Migrazione, don Mattia Ferrari a Mirandola

 (1).jpg)


