In vista dell’Assemblea del 26 giugno Casari traccia le motivazioni che lo hanno portato a rimettersi in gioco.
Casari, cosa l’ha spinta a questa scelta?
'La mia candidatura nasce dalla volontà di contribuire a una governance più moderna, trasparente e realmente rispettosa del ruolo degli azionisti. Ritengo necessario intervenire su alcune criticità che oggi impediscono un’effettiva partecipazione democratica all’interno di Msc.
Lei ha già sollevato delle perplessità sul vincolo di lock-up previsto dallo statuto, ma non è solo questo aspetto a preoccuparla.
'Oltre al lock-up, che rappresenta un vincolo anomalo in una Spa ad azionariato diffuso e, nella situazione della società, uno strumento di blocco del cambiamento e di perpetuazione del ruolo di un management forse con visioni di altri tempi, intendo porre l’attenzione su altri elementi che in una realtà come quella di Msc finiscono con l'avere effetti fortemente contaminanti e distorsivi. In particolare, il tema del voto palese e della scelta del management di impedire ai soci l'esercizio del voto per corrispondenza statutariamente previsto a loro favore per cercare di migliorare la democrazia assembleare: due elementi che insieme, nell'ambito di una società di soci lavoratori, favoriscono dinamiche distorsive e antidemocratiche. MSC è oggi una holding che controlla un gruppo importante come Rekeep, ma gli azionisti sono ancora circa 290, ereditati dalla precedente realtà cooperativa. E il dato più significativo è che circa l’80% degli azionisti sono lavoratori dipendenti del gruppo. Questo elemento è cruciale, perché impatta inevitabilmente in modo decisivo sulla libertà del voto.
Secondo lei, quindi, andrebbe rimosso il voto palese?
'Non si tratta di rimuovere in assoluto il voto palese: è previsto dallo statuto e ha una sua legittimità. Tuttavia, è evidente che non può esserci un vero voto libero se non si prevedono strumenti di protezione per i soci lavoratori. Quando ero presidente in Cpl, avevo introdotto un meccanismo efficace: si era introdotto processo che prevedeva un voto preliminare segreto che determinava la scelta dei candidati sui quali i soci votavano poi in modo palese. Così si garantiva libertà e tutela, senza negare trasparenza. È questo che intendo quando parlo di “formule di protezione”: rendere il voto uno strumento di libera espressione, non una modalità coartata conferma di scelte imposte dall'alto'.
Ma oltre alla modalità di voto, ci sono altri aspetti critici?
'Sì, un aspetto gravissimo è che, nonostante lo statuto lo preveda, non è stato previsto nell’avviso di convocazione dell’assemblea il voto per corrispondenza.
Insomma, a suo avviso, il combinato di voto palese senza protezioni e assenza del voto per corrispondenza crea un blocco?
'Esatto. Si crea un mix esplosivo che porta ad una dinamica in cui il cambiamento è praticamente impossibile. Chi vuole partecipare attivamente e proporre un’alternativa si trova in una condizione di esposizione (se lavora nel gruppo) o di impossibilità logistica (se vive lontano). A quel punto, la via più semplice diventa la delega, che finisce inevitabilmente in modo massiccio nelle mani di chi detiene già il controllo. Non si tratta di sospetti, ma di una struttura che nei fatti impedisce una dialettica reale e sana'.
Alla luce di tutto ciò, quale messaggio vuole lanciare agli azionisti?
'Il mio appello è alla partecipazione consapevole. Chiedo agli azionisti di pretendere regole che tutelino la loro libertà di voto, a partire dall’introduzione effettiva del voto segreto nei casi in cui esistano rapporti di lavoro subordinato, e dall’attivazione del voto per corrispondenza, già previsto dallo statuto, ma mai reso operativo. Se non si interviene su questi due aspetti, continueremo ad assistere a una gestione bloccata, autoreferenziale e chiusa al cambiamento. Non possiamo rimanere fermi in un limbo tra cooperativa e moderna società per azioni: dobbiamo scegliere di essere pienamente una Spa, nei fatti oltre che nelle dichiarazioni'.
Giuseppe Leonelli