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Agosto è noto è tempo di vacanze o pause più o meno forzate. Ed è così che anche le udienze del maxi processo Aemilia, sul radicamento della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna, sono sospese fino al 5 settembre per la chiusura ferragostana. Il processo, il più importante che si sia mai celebrato nella storia giudiziaria al nord, vede alla sbarra 147 imputati. Quasi nessun politico ma molti imprenditori veri o presunti tali. Tra questi vale la pena ripercorrere la storia giudiziaria e non di Mirco Salsi uno degli impresari protagonisti del processo e dell’ultima udienza, celebrata il 10 agosto presso il tribunale di Reggio Emilia, al quale sono state rivolte nuove accuse. Mirco Salsi è stato un dirigente di primo piano, per molti anni, della CNA di Reggio Emilia essendone il vice-presidente provinciale. Ee è stato inoltre componente della presidenza nazionale per la CNA Alimentare.
E' il Gup Francesca Zavaglia, in uno dei passaggi chiave delle 1.390 pagine della sentenza del processo concluso ad aprile con 58 condanne in abbreviato, che evidenzia come nell'indagine Aemilia si assiste alla “rottura degli argini” da parte della criminalità calabrese in Emilia dove “la congrega è vista entrare in contatto con il ceto artigianale e imprenditoriale reggiano, secondo una strategia di infiltrazione che muove spesso dall'attività di recupero di crediti inesigibili per arrivare a vere e proprie attività predatorie di complessi produttivi fino a cercare punti di contatto e di rappresentanza mediatico-istituzionale”.
E Mirco Salsi potrebbe secondo la tesi dell'accusa tutta da verificare (il processo è in corso) essere uno di quegli imprenditori cerniera.
Titolare allora della Reggiana Gourmet, azienda di Bagnolo del settore alimentare , per vincere un appalto per la ristorazione nelle carceri avrebbe consegnato oltre un milione 330mila euro, in contanti, ad una donna con precedenti per truffa. Ma l”affare” sarebbe sfumato e lui, Mirco Salsi (questo è ciò che gli inquirenti stanno tentando di ricostruire e verificare), potrebbe essersi avvalso dei servizi della ‘ndrangheta per recuperare il credito.
E l'ultima udienza, svoltasi nell’aula del Palazzo di Giustizia di Reggio Emilia, è stata tra le più interessanti del processo; attraverso le parole del capitano dei Carabinieri, Giovanni Mura, le domande del pm antimafia Marco Mescolini e il contro-interrogatorio svolto dal difensore di Salsi si è ricostruito un caso da manuale di infiltrazione criminale nel tessuto economico reggiano. Tessuto che pur essendo sano e dinamico è disinvoltamente affascinato dalle 'opportunità' offerte dall’illegalità.
Il capitano Mura ha spiegato come il giornalista televisivo Gibertini (con cui Salsi aveva rapporti di confidenza tali da concedergli numerosi prestiti), abbia fatto da tramite per un incontro a tre con Silipo – a sua volta in stretto contatto con Nicolino Sarcone – che si sarebbe rivolto per il “recupero crediti” a Vincenzo Ferraro e Mario Calesse.
Ma se la somma utilizzata per “favorire” l’appalto tarda a rientrare nelle casse di Salsi, il clan chiede subito a Salsi di iniziare a pagare la parcella: subito 50mila euro, poi altri 300mila euro. Giustificati contabilmente con fatture per lavori inesistenti emesse dalla Trasporti Silipo nei confronti della Reggiana Gourmet. Non solo: il clan avrebbe dato a Salsi 750mila euro in assegni con firme falsificate, e poi continuato a chiedergli denaro.
Questi aspetti poco chiari della vicenda, che costrinsero Salsi in Questura a denunciare per estorsione gli “amici”, danno modo all’avvocato difensore di Salsi di sostenere che l’imprenditore in realtà fu vittima dei clan e di Gibertini.
Ed è qui il nocciolo della questione: Salsi sapeva o meno a chi si stava rivolgendo per il recupero crediti? Secondo la difesa no, Salsi non aveva consapevolezza che si trattasse di presunti ‘ndranghetisti. Per l’accusa invece si. E nel corso dell’ultima udienza, quella del 10 agosto, sono emerse nuove accuse nei confronti di Salsi in seguito alla testimonianza del maresciallo dei carabinieri Cristian Gandolfi.
La scontro in aula fra accusa (il pm Marco Mescolini) e difesa (l’avvocato Noris Bucchi) si gioca sulla consapevolezza dell’imprenditore con chi aveva a che fare al momento dell’incarico per riottenere quella montagna di soldi.
E a tal proposito il maresciallo Cristian Gandolfi – in forza ai carabinieri di Reggio – che ha indagato su queste persone nell’inchiesta Octopus sul giro milionario di fatture fasulle è lapidario: «Salsi sa benissimo chi è Silipo e che è legato a Sarcone». Poi racconta dei telefoni-citofoni usati fra loro – «Dal settembre 2012 capiamo che vengono utilizzati» – a mo’ di circuito chiuso, inoltre facendo riferimento a un’intercettazione telefonica rimarca come Salsi sapesse di avere a che fare con la criminalità organizzata, riportandone questa frase: «Sarcone (definito “Sarcosì” in un colloquio fra l’imprenditore e Gibertini) è il numero uno in provincia». Una ricostruzione che l’avvocato Bucchi contesta: «Ho letto tutte le intercettazioni – dice il difensore – e ho un’idea diversa sulla consapevolezza di Salsi». Il legale dice che Salsi non afferma ma chiede a Gibertini se Sarcone è il numero uno in provincia («Perché non sa chi è»).