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In questi giorni ha fatto discutere la proposta del neo ministro Fioramonti che ha riaperto le discussioni sull’esposizione del Crocefisso nelle scuole. Sì, riaperto perché è un argomento dibattuto da tanto tempo. La questione è regolamentata dall’art. 118 del Regio decreto 30 aprile 1924, n. 965. e dal Regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297. Queste disposizioni si riferiscono agli elementi di arredo delle aule scolastiche e di altri ambienti pubblici e non sono mai state abrogate. Perché la presenza del simbolo della cristianità suscita vivaci polemiche? Con il solito stile confusionario che ci distingue, nel contempo la Costituzione afferma la laicità dello Stato, che non è espressione di nessuna religione.
Proviamo a ragionare, ma prima sottolineiamo un altro aspetto della scuola italiana: non funziona! Con o senza il Crocefisso!
Gli edifici che ospitano le scuole sono in gran parte da ristrutturare e mettere in sicurezza; gli strumenti per la didattica sono insufficienti, obsoleti e sui programmi ci sarebbe molto da dire… Se certi Atenei hanno attivato corsi d’italiano per...studenti italiani, ci sarà pure una domanda da farsi: come hanno fatto questi ragazzi a superare l’esame di maturità? Ricordo ancora un articolo del 2017 pubblicato dal “Corriere della Sera” che titolava: “Gli studenti non sanno l’italiano. La denuncia di 600 prof universitari”. I firmatari, stanchi di correggere tesi non nel contenuto ma nella grammatica da terza elementare, rilanciavano lo studio della lingua italiana nelle scuole, ripartendo dai fondamentali: «dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano». L’articolo informava che “dall’ultimo rapporto Ocse-Pisa, che misura le competenze dei quindicenni di mezzo mondo, i nostri ragazzi sono usciti con le ossa rotte.
E a sorpresa è soprattutto in italiano che andiamo male. Con buona pace della stanca retorica anti-crociana. Dal 2000 a oggi non abbiamo recuperato mezza posizione, mentre in matematica, dove pure eravamo molto più indietro, abbiamo fatto enormi passi avanti”.
Da questa insufficienza lessicale deriva poi tutto il resto del sapere, che certo non aiuta a costruire i cittadini del domani con una cultura estesa, capacità di confronto e analisi, professionalità specifica di rilievo. Questi sono i veri problemi della scuola, Ministro Fioramonti. Ma torniamo al Crocefisso. Se davvero vogliamo affermare la laicità della scuola pubblica, svincolata da qualsiasi credo, perché stabiliamo vacanze per il Santo Patrono? Per festeggiare la Natività di Gesù? Per celebrare la Santa Pasqua? Via tutto questo e di corsa a studiare!
E poi, se la scuola è laica, non dovrebbe neppure preoccuparsi di cosa offrire nelle mense scolastiche. “Ragazzi, domani a pranzo avrete un menù speciale, a base di molluschi!”. “Ma sono animali impuri – si lamenta uno studente ebreo – ed io non posso mangiare le cozze!”. Lapidaria sarebbe la risposta dell’insegnante: “Portati un panino: noi siamo una scuola laica e, se non hai un problema di salute, certificato da un medico, che t’impedisce di consumare molluschi, devi arrangiarti diversamente e personalmente!”. Fortunatamente non accade così e nei nostri istituti si offrono menù personalizzati in base alle esigenze di salute e anche di religione.
Ma allora, cosa vuol dire scuola laica che però espone il crocefisso? Significa che le radici della nostra cultura, della nostra civiltà sono cristiane e non possono essere confutate (e neppure cancellate, nella mia opinione); valgono per tutti: per i credenti come per gli atei o per qualsiasi altra persona che viva in Italia e professi una fede diversa. Il punto caratterizzante del cristianesimo è l’apertura verso il prossimo e infatti, laicamente, condividiamo il nostro sapere con tutti, senza chiedere conversioni, senza impedire a nessuno l’accesso perché musulmano o ebreo o induista. Anzi, per quanto ci è possibile, tentiamo di rispettare le esigenze e le sensibilità di tutti. In questo consiste la laicità della scuola italiana e non nel togliere un simbolo, ammesso che compaia ancora da qualche parte, che è proprio dell’accoglienza verso tutti senza nulla chiedere. Se poi vogliamo cancellare la nostra cultura, le nostre tradizioni per diventare anonimi cittadini di un mondo senza
Stati e confini, storiche civiltà e anche senza “l’oppio dei popoli”, prima sanifichiamo e attrezziamo gli edifici scolastici, insegniamo bene agli studenti come si coniugano i verbi e tutto il resto.
Massimo Carpegna