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La storia di Homo Sapiens è terribilmente malinconica. Usciti dai milioni di anni del Paleolitico, entrati nel sistema di produzione del Neolitico, poco meno di 10.000 anni fa, ci siamo scoperti istintivamente propensi all’accumulo dei beni, alle guerre, alla sedentarietà, a un tipo di religione che proiettava noi stessi e il nostro desiderio di dominio in qualche creatura superiore (che ci ha creato, però, “a sua immagine”, essendo noi gli unici veri dèi). Ci siamo scoperti propensi a un linguaggio che, invece di nominare il mondo per conoscerlo e riconoscere l’anima in ogni cosa vivente, parla di noi e di ciò che non siamo e vorremmo essere, e parla dei nostri desideri come di verità che accadono, delle nostre paure come entità che sconfiggiamo. Dire di essere ciò che non si è: una caratteristica tipica della nostra specie.
In questi mesi farneticanti di leggi vaneggianti, mi sono sorpreso, con sempre crescente consapevolezza, a mal sopportare chi è contro le norme liberticide ma le esegue. Comincio a detestare queste persone, quasi più di coloro che eseguono gli ordini senza fiatare. Si tratta, in fondo, dell’espressione tipica di Homo Sapiens, per quanto ho scritto prima. Ma perché dirsi pubblicamente contro il green pass se intanto lo si utilizza? Perché ci sono professori e accademici che vanno in televisione come riconosciuti capifila del dissenso, ed entrano ogni giorno in aula grazie al tesserino verde? Come mai – per citare anche chi è già in pensione – Massimo Cacciari si è dichiarato a un certo punto contro il green pass, sposando le riflessioni di Giorgio Agamben, ma lo ha fatto anche in interviste che ha rilasciato al Festival della Filosofia di Modena (ridicolmente dedicato alla “Libertà”) dove aveva avuto accesso mostrando il proprio green pass? Con che coerenza i 1200 docenti universitari firmatari di un appello alle istituzioni contro il green pass – ai loro occhi strumento di gravissima discriminazione – fanno lezione alle loro università col green pass discriminando studentesse e studenti?
Onore, allora, alle migliaia di studentesse e studenti che si sono dichiarati contro questa tessera barbarica e non l’hanno effettivamente mai usata. E onore, per stare all’ambito universitario (per parlare cioè del mondo lavorativo che conosco), alle centinaia di donne e uomini del personale amministrativo, che, salendo – loro sì – sulle cattedre di cui sono poco onorevolmente titolari i professori (ferocemente dissidenti ma col QR code usato come badge), si sono fatti sospendere e si stanno facendo sospendere, in coerenza con ciò che hanno dichiarato nelle loro lettere pubbliche e nelle loro manifestazioni.
Quando il dissenso diventa una caricatura di se stesso, è uno zero supremo. Intanto, per fortuna, si intuisce che verrà comunque un’inattesa primavera di luce: ignari degli uomini, i grandi paesaggi scandiranno il senso del mondo che noi abbiamo perduto. Non c’è caricatura nello stelo d’erba e nel ghiacciaio. Il dissenso degli elementi naturali è una condizione imperitura e salvifica.
Ognuno si aggrappa come può alla sua cattiva stella: la mia cattiva stella è la consapevolezza. Ho spesso pensato che Homo Sapiens stia per scomparire. Ultimamente penso invece che debba scomparire.
Francesco Benozzo - professore di Filologia e linguistica all’Università di Bologna (qui)
Francesco Benozzo
Professore di Filologia e linguistica all’Università di Bologna. Direttore di tre riviste scientifiche internazionali e di numerosi gruppi di ricerca interuniversitari, coordina il Dottor..
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