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'Alluvioni? La responsabilità non è del clima ma della manutenzione del territorio'
La Pressa
Paride Antolini, Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna al Corriere. A Modena dopo decenni di mancata manutenzione, interventi di adeguamento, parziali e non strutturali, solo dopo l'alluvione del 2014

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L’alluvione in Emilia-Romagna non è responsabilità del cambiamento climatico. A dirlo è Paride Antolini, Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna. “Se si rompe un argine – ha detto Antolini al Corriere della Sera -, il cambiamento climatico non c’entra nulla. È un problema di manutenzione”.
Un tema, quello della manutenzione, che torna alla ribalta e all'attenzione purtroppo solo quando succedono i disastri. A Modena, nonostante eventi avversi importanti ma classificati comunque piccoli in termini di portata della piena si sono avute due alluvioni in 6 anni, sul Secchia (nel 2014) con la devastazione di Bomporto e Bastiglia, e un morto, e sul Panaro (nel 2020), con la devastazione a Nonantola.
Ma si è appunto dovuti arrivare all'alluvione del 2014, per attuare, dopo decenni di mancata o scarsa manutenzione degli argini e degli alvei fluviali e delle aree golenali, un piano strutturale di interventi. Che ha interessato prevalentemente il fiume Secchia, il più critico, almeno sulla carta, su cui pesa l'inadeguatezza del sistema delle casse di espansione, ancora ferme agli anni 80 e per le quali insiste solo ora in via definitiva un progetto capace di innalzarne la capacità, oggi limitati a garantire il taglio del picco di una piena con Tempo di Ritorno a 20 anni (con portata simile a quella del 2020). Parametro che prima del 2014 non era garantito nemmeno in molti tratti di arginature a valle delle casse di espansione e sui quali si è proceduto, appunto, dopo il 2014, con lavori di innalzamento e risagomatura. Che hanno si elevato il livello di contenimento in aree critiche come quella nel tratto di Ponte Alto, San Matteo (punto di rottura del 2014) e Ponte Uccellino e da li fino a Bastiglia (così da garantire un maggiore margine di sicurezza in quei tratti), ma che in generale non hanno portato all'innalzamento dello standard di sicurezza a piene medie e grandi, centenarie, sulle quali si basa lo stato di sicurezza teorica del sistema. E questo è il punto: il sistema non è in sicurezza, se non per eventi di piena limitati, come quello che sta ancora transitando, quasi paragonabile a quello del 2020. Un sistema la cui tenuta potrebbe essere messa a rischio da eventi più importanti, anche solo a quelli che hanno interessato la Romagna in questi giorni. E a ribadirlo questa mattina, in una intervista alla Gazzetta di Modena, il docente Unimore Stefano Orlandini, esperto in costruzioni idrauliche: 'Se il ciclone Minerva, quello che ha colpito la Romagna, si fosse spostato anche solo 50 chilometri verso il nostro territorio, avremmo probabilmente riscontrato gli stessi problemi che adesso ci sono tra Faenza e la zona costiera della regione'. Prospettiva tutt'altro che rassicurante. Anche perché di eventi così, eccezionali a maggio, ce ne possiamo aspettare tanti, confermano gli esperti, in qualsiasi altro periodo dell'anno. E il riferimento per misurare eventi eccezionali e i rischi che essi comportano non può e non deve essere un mese all'anno, più utile magari per giustificare inadempienze e mancati interventi da parte dei responsabili e decisori politici.
Il tema della manutenzione preventiva e dell'azione sui punti critici che sono ben fissati anche in relazioni tanto oggettive quanto 'politicamente scomode' sul rischio idraulico come quella dell'ingegnere Gianluca Zanichelli, allora Direttore Aipo, e redatta nel 2016 nel periodo post alluvione causata dalla rottura dell'argine del Secchia, nel comune di Modena, è e rimane centrale. Una manutenzione basata su una visione territoriale di insieme che deve riguardare l'intero territorio, a partire dalla montagna dove l'acqua arriva, spopolata soprattutto nelle sue aree rurali e pedecollinari, dove anche i lunghi anni di escavazione di ghiaia hanno completamente trasformato territori e alvei fluviali, sia del Secchia che del Panaro, con effetti devastanti anche i termini di erosione e velocità dell'acqua nella sua discesa a valle. E anche su questo punto insistono le parole del Presidente dell'Ordine dei geologi dell'Emilia-Romagna. “Il problema del dissesto idrogeologico non si risolve con i grandi progetti, ma con l’applicazione nei territori: in montagna con la riforestazione e il mantenimento dei boschi in modo tale da impedire all’acqua di scendere in massa a valle' afferma al Corriere. 'In pianura allargando le aste fluviali, realizzando casse d’espansione, osservando la condizione degli argini e dico semplicemente: se si rompe un argine, il cambiamento climatico non c’entra nulla. È un problema di manutenzione. Come le strutture, anche i terreni perdono le loro caratteristiche con il tempo. E se non li si osserva, non si può intervenire”.
L’Emilia-Romagna è anche ai primi posti per consumo del suolo. “In questa direzione occorrerà fare attente valutazioni successive – continua Antolini -. Qualcosa bisognerà fare; che cosa cercheremo di capirlo a mente fredda, alla luce dell’eccezionalità dell’evento'.
Gi.Ga.
Redazione Pressa
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