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'Al tempo del Covid tutti gli altri pazienti rappresentano un ulteriore problema perché occupano letti e spazi, che potrebbero essere occupati dai pazienti Covid positivi sempre più numerosi. E allora i pazienti chirurgici vengono accorpati.
Si riducono i letti, si liberano infermieri di sala operatoria da dirottare sulle terapie intensive o nei reparti Covid. Il tutto inesorabilmente con una gradualità falsamente lenta ma costante, ragionando solo su numeri e contenitori. Il paziente no Covid, nella sua persona, sparisce! È vero, non si possono lasciare fuori dal pronto soccorso i pazienti Covid positivi , ci mancherebbe, ma tutti gli altri sì, a meno che non siano in immediato pericolo di vita. Anche i pazienti con tumori devono essere messi in fila aspettando il loro turno su spazi troppo stretti per accogliere tutti nei tempi dovuti. Ed il tempo nella patologia tumorale pregiudica la prognosi' - continua la dottoressa nella sua lettera al Corriere.
'Rimane solo il povero chirurgo che conosce ciascuno nella sua complessità e fragilità e non può fare niente se non cercare di rassicurare subendo sempre di più insulti e sfoghi. Il paziente non Covid comprende, certo, ma fino ad un certo punto, perché non accetta facilmente di essere trascurato, soprattutto quando ha male o quando ha paura. È proprio la paura di perdere tempo prezioso da regalare solo alla propria malattia, il sentimento predominante. Il paziente identifica nel proprio chirurgo, la persona che non riesce ad operarlo in tempo. In quel momento, il paziente identifica il sistema con il chirurgo. Si riducono i letti, si dirottano infermieri e il malato di altre patologie sparisce. Sei tu che devi dargli una diagnosi ed una prognosi. Sei solo tu davanti a lui o lei. Non il sistema, non il governo, non la Regione, non l’ Azienda, non l’Ospedale, non il percorso Covid free . Sei tu chirurgo. È te che guarda negli occhi. Perché? Ci chiediamo tutti. Cosa non si è fatto o non si è fatto abbastanza? Le liste d’attesa per gli interventi chirurgici erano gia scandalose prima del Covid e nessuno ha pensato di investire in modo significativo su spazi e personale, anche in tempi non sospetti, per risolvere il problema. Se si fosse fatto allora, oggi avremo tutto il personale necessario per dividere i percorsi Covid e non Covid senza dover discriminare nessuno. Tutti avrebbero avuto uguale dignità di paziente. Magari avremmo dovuto ragionare solo sugli spazi, ma solo durante la prima ondata, non anche sulla seconda come invece è stato. Sono giunti, negli ultimi due anni, dictat dalle varie Regioni su abbattimento delle liste d’attesa su ernie, colecisti, emorroidi, tiroidi, ma sempre a costo zero. Si diceva: risolvete questo problema, ma senza investire in nulla soprattutto nel personale. Nessun coordinamento con il territorio per utilizzare tutte le sale operatorie disponibili. Solo spazi operatori utilizzati al 50% per carenza di personale infermieristico ed anestesiologico. Spazi operatori non assegnati proporzionalmente alle liste d’attesa ma utilizzando criteri spesso non oggettivabili - chiude Micaela Piccoli -. E dopo questo periodo pandemico, se riusciremo ad avere un dopo, chi di dovere avrà imparato qualcosa? Perché la seconda pandemia sarà proprio dei pazienti chirurgici che presenteranno tumori avanzati, patologie più complicate e insisteranno ancora di più su liste d’attesa oltre ogni soglia comprensibile. Spero che finita la pandemia il personale acquisito venga finalmente dirottato anche verso la chirurgia, con progetti importanti e reali, perché altrimenti non si riuscirà a far fronte ad un’ondata di pazienti, magari sopravvissuti al Covid, ma decimati da altre patologie altrettanto gravi e mortali'.