Assurdo come lo è l'efferatezza di un delitto simile. Assurdo come quel mondo di solitudine che lasciò Bernadette isolata nel suo dolore e nella sua paura. Perchè nella città e nella provincia dei servizi sociali ed antiviolenza promossi come eccellenza nazionale, quella morte rappresentò (ed è giusto che oggi rappresenti ancora), un assurdo. Che fa saltare ogni parametro, che è segno e simbolo delle crepe (e delle ipocrisie), di un sistema, incapace di fare autocritica e di guardarsi allo specchio. E di migliorarsi, dopo l'indignazione. Un sistema, che si fa chiamare rete di assistenza e protezione alle donne vittime di violenza. Anche di quelle meno nascoste come lo era Bernadetta che più volte aveva denunciato invano i maltrattamenti dell'ex convivente. Lei, Bernadetta, che sapeva (e aveva fatto sapere), che la sua morte sarebbe prima o poi arrivata per mano di quel folle criminale che pur denunciato continuava ad essere libero di andarla pure a trovare. Quel grido inascoltato, quello di Benedetta, che quella rete mette a nudo. Che le tante morti quasi annunciate che la cronaca ha continuato a registrare 'oltre Modena', mette a nudo.
Quella rete che dei risultati, certo, in questi anni ne ha ottenuti (e le donne salvate ed aiutate fanno sicuramente meno notizia di quelle uccise), ma forse più sul fronte della riduzione del danno (più evidente e spesso ben remunerata) che sul fronte della prevenzione. Un sistema fatto di reti vere o presunte, fatto troppo spesso di slogan, di tavoli, conferenze e forum al femminile (spesso politicamente guidati o legittimati). Un sistema che nel momento del bisogno, del reale bisogno, del grido di aiuto, quella donna lasciò comunque sola. Sola, sola, sola, davanti a quella mano criminale. Sola dentro nel frigo di uno scantinato umido e caldo.
Gianni Galeotti

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