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'Figure di culto nel mondo del writing, i due artisti hanno intrapreso percorsi che li hanno portati ad esporre all'interno di spazi istituzionali seguendo strade differenti, che la mostra intende mettere in relazione e dialogo', scrive così il curatore Pietro Rivasi per il catalogo di 'Finestre rotte', seconda esposizione all'interno della nuova sede di Vicolo Folletto Art Factories, galleria di Reggio Emilia, Corso Garibaldi, 1. La mostra terminerà il 31 ottobre.
Per Finestre rotte, Francesco Barbieri presenta un ciclo di opere legate a New York, la città dove il writing è nato. Dodici dipinti realizzati con tecniche differenti, alcuni raffigurano gli interni dei tunnel della metropolitana (su tela, tecnica mista), più tetri, oscuri, ad alcuni di essi l'artista ha associato una paura specifica; in contrapposizione altri dipinti 'dalla superficie' sono più 'solari', ' psichedelici', (opere ibride tra fotografia e pittura).
Francesco Barbieri (Pisa, 1976) è un riferimento internazionale per il post-graffitismo, la sua produzione attuale si concentra sulla costruzione di scenari urbani che vedono spesso treni e ferrovie come elementi centrali. Il viaggio è fondamentale nel suo percorso, negli ultimi 20 anni ha visitato regolarmente New York, San Francisco, Berlino, Stoccolma, Pechino, Shanghai e Nanchino. In quest'ultima città, nel 2015, ha lavorato per una residenza di artista, confrontandosi con l'arte cinese; ha esposto nel prestigioso Nanjing Sifang Art Museum. Fondamentale visitare il suo sito.
Ho avuto il piacere di intervistare Francesco Barbieri.
Parlami del tuo rapporto con New York, mi interessa capire soprattutto in quali momenti e periodi l'hai visitata e se ti ha sempre dato qualcosa.
New York per chiunque provenga dalla cultura alla quale appartengo (ovvero il writing) è considerata la mecca, il luogo dove tutto ha avuto origine.
In generale penso che sia una città fantastica, il centro del mondo, scenario di tanti film, di tante situazioni che hanno influenzato la cultura contemporanea in modo imprescindibile. È forse la città più europea degli Stati Uniti, quindi inevitabilmente ne subiamo il fascino. Ci sono stato nel 1997, nel 2005, nel 2009, nel 2012 e nel 2018. Ogni volta è stato diversissimo, per motivi personali. Diciamo che è stata tutte le volte, anche per me, come per i milioni di persone che ci transitano o che ci vivono, lo scenario del mio film. Da un punto di vista artistico è una fonte di ispirazione inesauribile.
Quali sono i luoghi di New York che per te rappresentano l'anima della città?
La metro che la attraversa da parte a parte, offrendone scorci incredibili dall'alto dei ponti rugginosi, e le sue stazioni vecchie di cent'anni e forse anche più, vintage e moderne al tempo stesso. E poi i suoi taxi gialli, i ristoranti, le recinzioni ondulate con il filo spinato sopra, i mattoncini. Non c'è una sola New York, ce ne sono migliaia.
Quale ritieni sia la colonna sonora di New York?
'Furious Anger' di Big L, '53rd and 3rd' dei Ramones e 'Across 110th Street' di Bobby Womack.
Realizzi anche video? Se non ne hai mai fatti ritieni che in futuro possa realizzarne?
Non ne ho fatti io personalmente, ma ne sono stati fatti alcuni su di me e sul mio lavoro, da bravi videomaker come Valerio Torresi e la coppia Federico Borghesi - Davide Barbafiera. Li abbiamo usati come teaser di alcune mostre che ho fatto in questi anni e sono ancora visibili su Youtube. Invece con Nicola Buttari abbiamo realizzato una video installazione dal titolo 'Leviathan' al Museo Piaggio: in una stanza buia tre megaschermi circondavano l'osservatore avvolgendolo e proiettavano un enorme città che si animava con tanto di suoni, come se fosse essa stessa un organismo gigantesco. La stessa opera, riadattata in chiave virtuale, è stata riproposta per 'Finding Meaning', una mostra a distanza sulla pandemia, sponsorizzata dall'università di Nanchino in Cina e curata da Andrea Baldini e Pietro Rivasi
Nelle tue opere non ci sono persone, non trovi che siano elementi essenziali all'interno di un luogo?
Al contrario li troverei ridondanti. È la storia materiale dell'uomo a parlare per lui. Le architetture, i non luoghi, le fabbriche, i condomini, i treni, gli ecomostri che da un lato ci affascinano e da un lato ci inquietano parlano abbondantemente di noi, di chi siamo, delle nostre ossessioni... o almeno per me sono la scusa per parlarne, attraverso la pittura.
Quest'estate ho visitato Amburgo, la sua stazione è un luogo incredibile, abitata da personaggi unici che danno un'identità a quel luogo. Ci sei mai stato?
Non recentemente. ricordo la prima volta che ci sono stato, forse nel 2002, era piena di tossici e di marginalità varie. Non so se anche da quelle parti in questi anni sono state usate propagandisticamente parole d'ordine come 'decoro' e 'sicurezza' come qua in Italia.
Quando hai avuto il 'colpo di fulmine' per l'arte? Quali sono stati i tuoi primi passi?
Le scritte sui muri, e poi in seguito le tag. Ai tempi a nessuno passava per la testa di considerarle arte, ma solo vandalismo. Oggi per fortuna ci sono curatori audaci come Pietro Rivasi, che teorizzano che un'opera può essere al tempo stesso vandalismo e arte. In ogni caso io ho chiuso con quel mondo, ma la mia pittura nasce da lì, dal gesto, da quelle atmosfere, anche a livello tecnico affianco strumenti da strada come spray e rulli a oggetti più tradizionali come pennelli e spatole
Anni fa quando facevo Milano Modena di notte mi sedevo vicino ai personaggi più improbabili e ho raccolto delle storie fantastiche, hai anche tu questo approccio quando viaggi o preferisci goderti l'atmosfera e il paesaggio?
Non cerco niente, non forzo, lascio che le cose quando viaggio accadano in modo spontaneo, e tante volte non accade assolutamente niente, ma va bene così. Leggo un libro, guardo il panorama, immagino cose, faccio il punto sulla mia vita
Mi racconti delle tue residenze in Cina e Marocco.
Sono state molto differenti ovviamente. In Cina lo scontro culturale è stato più impattante. Il Marocco ha una cultura in qualche modo più simile alla nostra, comunque mediterranea. In Cina ero con persone che non conoscevo assolutamente, ed è stato bellissimo, ma ci sono stati anche momenti difficili. In Marocco ero con un gruppo di artisti che conoscevo, ma è stato fantastico confrontarci 24 ore al giorno, e lavorare in una cornice incredibile, davanti all'oceano.
Quando giri per le metropoli, ci sono bar, pub, ristoranti dove ami fermarti, mangiare qualcosa, magari ammirare un paesaggio e capisci che entri subito in sintonia con la città?
Guarda a me per capire una città interessa uscire dal centro turistico, andare oltre il salotto buono e, se possibile, andare nelle periferie, vedere come vive la gente davvero. Ovviamente a volte è difficile, soprattutto fuori dal mondo occidentale. quando mi riesce sono più contento di quando ho visto i classici monumenti. Credo che sul concetto di turismo (che nella forma in cui lo conosciamo è nato nel secolo scorso) potremmo discutere a lungo, è uno dei paradossi della contemporaneità.
Stefano Soranna