Il compositore nasce a Karevo il 21 marzo del 1839 e la sua carriera non doveva essere quella musicale, ma bensì militare, più sicura economicamente e ben accetta nella società. Ma il Nostro aveva un interesse diverso e seguì la sua passione, la musica, anche se gli procurò una vita di stenti.
A quel tempo, la cultura russa era molto influenzata da quella occidentale e Mussorgskij, insieme ad altri artisti, entrò in un sodalizio che si sarebbe chiamato Gruppo dei Cinque. La loro filosofia era quella di riscattarsi dalla musica francese, italiana, tedesca e rivolgersi al canto popolare tipicamente russo, così da porre le fondamenta per una musica nazionale.
Due sono i capolavori più noti: l’opera Boris Godunov e Quadri di una esposizione, composizione pianistica assolutamente ardita per il suo tempo, che divenne poema sinfonico nell’orchestrazione di Maurice Ravel. Affrontiamo il melodramma, l’unico rappresentato mentre Mussorgskij era ancora in vita, considerato che le opere successive Khovanshchina e La Fiera di Sorocinskij sono rimaste incompiute alla sua morte, e completate e/o orchestrate da altri musicisti russi, tra i quali Nikolaj Rimskij-Korsakov è il più noto.
Autore anche del libretto, la storia narrata da Modest Mussorgskij è tratta dall’omonima tragedia di Aleksandr Puskin e dalla Storia dello Stato russo di Nikolaij Karamzin. Il lungo e complicato cammino dell’opera inizia nel settembre del 1868 in casa della sorella di Glinka, la dolce colomba Ljudmila Shestakova che, dopo la morte del fratello, raccoglie intorno a sé gli artisti e gli intellettuali della nuova generazione, per realizzare una cultura autenticamente russa.
La tragedia appartiene ad una delle epoche più fosche della Russia zarista. Morto Ivan il Terribile, restano due eredi: il figlio maggiore, Fiodor, figlio di primo letto, e un bimbo di due anni, Dmitrij, nato dall’ultimo matrimonio dello Zar. La corona tocca a Fiodor, sebbene sia debole di mente. Occorre, perciò, un reggente per gli affari di Stato e questi è Boris Fedorovic Godunov, uomo di grande abilità, che lo stesso Ivan aveva avvicinato al trono, quando diede sua sorella in sposa a Fiodor. La vicenda si sviluppa, poi, attraverso congiure e un giallo: Dmitrij è trovato con la gola squarciata da un coltello. Si accusa Boris, naturalmente, che ha compiuto quel delitto per assicurarsi la successione...
Nel modo in cui è trattata l’opera, il dramma dello Zar, la figura del pretendente e la partecipazione delle masse acquisiscono nuove dimensioni.
Alle iniziali esecuzioni, si registra l’ostilità pressoché generale della critica. Borodin, invece, ne è entusiasta, mentre Tchaikovsky, dopo aver studiato profondamente la partitura si esprime con un: «Io mando al diavolo con tutto il cuore la musica di Mussorgskij; essa è la più volgare e la più bassa parodia della musica».
Il merito d’avere sostenuto l’opera senza tentennamenti spetta a Rimsky-Korsakov, l’amico di Mussorgskij che ne ammirava il genio e ne temeva il vizio del bere: «Adoro il Boris e nel medesimo tempo lo odio. Lo adoro per la sua originalità, l’arditezza, la bellezza; lo odio per la sua grossolanità, le durezze armoniche e le assurdità musicali».
L’arte di Mussorgskij era molto in anticipo, rispetto al suo tempo, sia sul piano ritmico che su quello armonico. In particolare, nei fraseggi vocali e strumentali si riscontra la tendenza a riprodurre le inflessioni del parlare quotidiano della lingua russa, quella del popolo, in particolare. La scomparsa della madre e della donna amata, fanno precipitare Mussorgskij in uno stato depressivo, che aggrava ulteriormente il suo vizio del bere. Nella vodka, il compositore cercava il modo di ricusare quello che riteneva il suo fallimento: aveva sacrificato tutto per la musica. Ma essa non era compresa, apprezzata e la sua era una vita di stenti.
In seguito a un attacco epilettico, e a solo quarantadue anni, s’accascia per strada Molti lo giudicano un clochard, un ubriacone che non merita aiuto. Infine, alcune persone misericordiose lo portano in un ospedale militare, dove muore in perfetta solitudine, così come aveva trascorso gran parte della vita. Pare che le sue ultime parole furono: «Tutto è finito, il dolore sono Io!».
La sua tomba si trova nel Cimitero Tikhvin del Monastero di Aleksandr Nevskij di San Pietroburgo.
Massimo Carpegna