GIFFI NOLEGGI
La Pressa redazione@lapressa.it Notizie su Modena e Provincia
Logo LaPressa.it
Facebook Twitter Youtube Linkedin Instagram Telegram
GIFFI NOLEGGI
articoliChe Cultura

Mussolini e i presupposti della rivoluzione fascista

La Pressa
Logo LaPressa.it

L' analisi obiettiva del passato deve insegnarci a non ripetere gli stessi errori


Mussolini e i presupposti della rivoluzione fascista
Paypal
Da anni Lapressa.it offre una informazione libera e indipendente ai suoi lettori senza nessun tipo di contributo pubblico. La pubblicità dei privati copre parte dei costi, ma non è sufficiente. Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge, e ci segue, di darci, se crede, un contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di modenesi ed emiliano-romagnoli che ci leggono quotidianamente, è fondamentale.

Perché nacque il fascismo? È una domanda che oggi, a 76 anni dalla morte di Benito Mussolini, pare anacronistica, di modesto interesse, superata dai tempi e da una società che, sicuramente, non è più quella sopravvissuta alle trincee della Grande Guerra. Tuttavia, il ricordo del Ventennio è stato mantenuto vivo e contemporaneo per esorcizzare un pericolo che, per alcuni, non è affatto svanito tra le nebbie della storia. Tale pericolo – quasi un emblema posto alla base ideologica della Sinistra e giustificazione di una presenza politica, soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino – molte volte è stato sventolato senza alcuna vera ragione e quale arma elettorale.

La Storia ci indica che il 20 settembre del 1922 Benito Mussolini tenne uno storico discorso a Udine, che configurò la struttura ideologica del fascismo e i suoi obiettivi iniziali. Quello fu il principio.

Riportiamo le lancette del tempo alla fine della Prima Guerra Mondiale e osserviamo il passato con gli occhi del presente, così come dobbiamo osservare il presente con gli occhi del passato.

Nell’immediato primo dopoguerra, la situazione italiana era molto difficile, sul piano economico, e assolutamente caotica. I reduci, tornati a casa dopo quattro anni di stenti, malattie e combattimenti feroci, non riuscivano a reinserirsi per la grave crisi in cui versava il Paese a causa dei debiti contratti per le spese belliche. La nostra era ancora una civiltà fondamentalmente contadina e proprio i contadini avevano rappresentato l’ossatura del nostro esercito. A guerra finita, il Generale Diaz aveva promesso una equa redistribuzione delle terre, che non avvenne. E così, gli ex combattenti, che non possedevano più un campo da arare, in molte regioni invasero i latifondi incolti e se ne appropriarono illegalmente, con la forza.



Se nelle campagne la situazione si presentava come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, nelle città non andava meglio. Il costo della vita aumentava a dismisura, le provviste erano scarse e solo le famiglie più agiate potevano acquistare carne, uova, latte…; i salari non erano stati aumentati e, in qualche caso, erano inferiori a quanto pagato prima dell’entrata in guerra. Alcuni, ridotti alla fame, si diedero al saccheggio dei negozi e una parte degli operai, spinti dai sindacati d’ispirazione comunista, tentarono d’accendere la fiamma della rivoluzione bolscevica.

Tutto ciò condusse a quello che fu definito il biennio rosso, dal 1919 al 1920, caratterizzato dall’occupazione delle fabbriche da parte degli operai che ubbidivano all’ordine fare come in Russia.

Il grave dissesto in cui versava l’Italia rappresentava l’occasione per instaurare un regime di socialismo reale, di fare come in Russia, appunto. Il 21 gennaio del 1921 sorge a Livorno il Partito Comunista Italiano in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre e alla separazione dal Partito Socialista. Guidano quest’ala rivoluzionaria elementi di spicco tra i quali Antonio Gramsci. Gli scioperi organizzati e l’occupazione delle fabbriche, già in grandissima difficoltà, s’intensificano e spaccano il Paese tra una minoranza, che prospetta il comunismo quale soluzione di ogni problema, e il resto della popolazione assolutamente contraria a cancellare con un colpo di spugna gli ideali alla base del Risorgimento e della Grande Guerra: l’amore per la Patria e la fedeltà alla Corona alle quali si aggiunge la religione, considerata l’oppio dei popoli.

In questo clima confuso, mortificante, di grande disagio economico e, per certi aspetti, violento, questa parte degli italiani s’augurava che qualcuno mettesse fine d’imperio alle difficoltà e al pericolo che la rivoluzione russa potesse riproporsi nel Bel Paese. In questo scenario apparve la figura di Benito Mussolini, dirigente socialista e, dal 1912, direttore del quotidiano L’Avanti.

Mussolini, al principio, era stato contrario all’entrata in guerra dell’Italia, come fu il Partito Socialista, ma successivamente divenne interventista e i suoi articoli infiammavano il popolo. Il 20 ottobre del 1914 si dimise dalla direzione de L’Avanti e nel novembre fondò il suo quotidiano, Il popolo d’Italia. Conclusasi la guerra, nel 1919 creò i fasci di combattimento e la sua propaganda, non a caso, faceva leva su quella che si definiva la vittoria mutilata. Grande era stato il tributo di sangue dei soldati, ma l’Italia non aveva ottenuto il giusto riconoscimento e ora, a causa dell’egoismo delle grandi potenze europee, viveva nella miseria.

La retorica mussoliniana scuoteva gli animi, sapeva toccare quelle corde dell’orgoglio, dell’ingiustizia subita, del tradimento e del desiderio di vendetta, come ne è un esempio l’annuncio della guerra in Etiopia:



Quando nel 1915 l’Italia si gettò allo sbaraglio e confuse le sue sorti con quelle degli Alleati, quante esaltazioni del nostro coraggio e quante promesse! Ma, dopo la vittoria comune, alla quale l’Italia aveva dato il contributo supremo di seicentosettantamila morti, quattrocentomila mutilati, e un milione di feriti, attorno al tavolo della esosa pace non toccarono all’Italia che scarse briciole del ricco bottino coloniale altrui. Abbiamo pazientato tredici anni, durante i quali si è ancora più stretto il cerchio degli egoismi che soffocano la nostra vitalità. Con l’Etiopia abbiamo pazientato quaranta anni! Ora basta!

Alla Lega delle nazioni, invece di riconoscere i nostri diritti, si parla di sanzioni.??Sino a prova contraria, mi rifiuto di credere che l’autentico e generoso popolo di Francia possa aderire a sanzioni contro l’Italia. I seimila morti di Bligny, caduti in un eroico assalto che strappò un riconoscimento di ammirazione allo stesso comandante nemico, trasalirebbero sotto la terra che li ricopre.



Il programma politico si proponeva di risolvere la difficile situazione economica, anche con interventi a carattere sociale e verso le classi più deboli. Di seguito, il manifesto dei fasci di combattimento, detto il Programma di San Sepolcro:

Italiani! Ecco il programma di un movimento genuinamente italiano. Rivoluzionario perché antidogmatico; fortemente innovatore anti pregiudizievole.

Per il problema politico, Noi vogliamo:

??a) Suffragio universale a scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne.

b) II minimo di età per gli elettori abbassato ai I8 anni; quello per i deputati abbassato ai 25 anni.

c) L’abolizione del Senato.

d) La convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato.

e) La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell’industria, dei trasporti, dell’igiene sociale, delle comunicazioni, ecc. eletti dalle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi, e diritto di eleggere un Commissario Generale con poteri di Ministro.



Per il problema sociale, Noi vogliamo:

a) La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavori la giornata legale di otto ore di lavoro.

b) I minimi di paga.

c) La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria.

d) L’affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici.

e) La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti.

f) Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni.



Per il problema militare, Noi vogliamo:

a) L’istituzione di una milizia nazionale con brevi servizi di istruzione e compito esclusivamente difensivo.

b) La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi.

c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare, nelle competizioni pacifiche della civiltà, la Nazione italiana nel mondo.



Per il problema finanziario, Noi vogliamo:

a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze.

b) Il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi.

c) La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell’ 85% dei profitti di guerra.

«II popolo d’Italia», 6 giugno 1919

Il consenso si moltiplicò in brevissimo tempo e le camice nere si attivarono per intervenire anche con la forza a risolvere certe situazioni considerate ingiuste. Già nel 1919, ampie zone dell’Italia del nord erano di fatto sotto il controllo delle camice nere, aiutate dalle forze dell’ordine e nel 1921 Benito Mussolini si propose alle elezioni. Fu eletto deputato e modificò la sua linea politica che, al principio, era fedele agli ideali repubblicani. Comprese che per raggiungere il potere occorreva avere l’appoggio della Corona e della Chiesa: s’avvicinò quindi alla monarchia con il discorso di Udine, tenuto il 20 settembre del 1922 e in riferimento alla posizione dell’Italia in Europa. Ecco alcuni passi.

… Bisognerebbe che i nostri ministri degli Esteri sapessero giocare anche questa carta e la buttassero sul tappeto verde e dicessero: «Badate che l’Italia non fa più una politica di rinunce o di viltà, costi quello che costi!

… Il nostro programma è semplice: vogliamo governare l’Italia. Ci si dice: «Programmi?». Ma di programmi ce ne sono anche troppi. Non sono i programmi di salvazione che mancano all’Italia. Sono gli uomini e la volontà! . Non c’è italiano che non abbia o non creda di possedere il metodo sicuro per risolvere alcuni dei più assillanti problemi della vita nazionale. Ma io credo che voi tutti siate convinti che la nostra classe politica sia deficiente. La crisi dello Stato liberale è in questa deficienza documentata. Abbiamo fatto una guerra splendida dal punto di vista dell’eroismo individuale e collettivo. Dopo essere stati soldati, gli italiani nel ’18 erano diventati guerrieri.

… Noi, dunque, lasceremo in disparte, fuori del nostro gioco, che avrà altri bersagli visibilissimi e formidabili, l’Istituto monarchico, anche perché pensiamo che gran parte dell’Italia vedrebbe con sospetto una trasformazione del regime che andasse fino a quel punto. Avremmo forse del separatismo regionale poiché succede sempre così. Oggi molti sono indifferenti di fronte alla monarchia; domani sarebbero, invece, simpatizzanti, favorevoli e si troverebbero dei motivi sentimentali rispettabilissimi per attaccare il fascismo che avesse colpito questo bersaglio.

… La monarchia rappresenterebbe, dunque, la continuità storica della nazione. Un compito bellissimo, un compito di una importanza storica incalcolabile.

… Ormai le cose sono molto chiare. Demolire tutta la superstruttura socialistoide-democratica.??Avremo uno Stato che farà questo semplice discorso: «Lo Stato non rappresenta un partito, lo Stato rappresenta la collettività nazionale, comprende tutti, supera tutti, protegge tutti e si mette contro chiunque attenti alla sua imprescrittibile sovranità.



L’occupazione di Fiume nel 1921, città a maggioranza italiana che era stata data alla Yugoslavia con un accordo siglato dal governo Giolitti, diede una formidabile accelerazione al fenomeno: grazie a volontari guidati da Gabriele D’Annunzio, che già durante il conflitto mondiale aveva dimostrato il proprio sprezzo del pericolo con diverse azioni e il famoso volo su Vienna, l’Italia si appropriava di una terra che considerava sua. Il grande consenso acquisito da D’Annunzio, consigliò a Benito Mussolini di prendere l’iniziativa, nel timore che il Vate lo scavalcasse quale capo naturale del fascismo.

Così, il 24 ottobre del 1922 a Perugia fu formato un quadrumvirato composto da Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Michele Bianchi ed Emilio De Bono. Il 28 ottobre del 1922, bande organizzate di fascisti e simpatizzanti confluirono su Roma e il Re, per evitare quella che considerava una guerra civile imminente, non allertò l’esercito, non firmò lo stato d’assedio, ma anzi affidò al deputato Mussolini, a capo di quella che pareva la forza politica dominante e di maggior consenso nel Paese, il compito di formare il nuovo governo. Per vie democratiche aveva inizio ufficialmente l’era fascista.

La domanda che gli storici si pongono ormai da lustri è se l’Italia avrebbe ugualmente conosciuto il fascismo senza la nascita e l’azione del Partito Comunista e dei Sindacati d’ispirazione socialista, con un Governo capace di progettare la ripresa e la ricostruzione dopo la Grande Guerra, come avvenne per altri Stati. Nessuno può rispondere con certezza a tale quesito, ma indubbiamente esistono delle responsabilità precise, che la Storia ha il dovere di sottolineare.

Se l’analisi obiettiva del passato deve insegnarci a non ripetere gli stessi errori, così come Cicerone suggerì nella sua celebre frase Historia magistra vitae, allora occorre scongiurare il desiderio che dalla politica sorga un uomo del destino a riportare giustizia, ordine, benessere ed orgoglio. Il terreno fertile di ogni dittatura è la povertà diffusa, la non sicurezza personale e collettiva, la mancanza di una prospettiva futura e positiva e, soprattutto, la sfiducia in chi ha responsabilità di governo, che si addita quale colpevole di ogni sofferenza.

Queste sono le criticità da prevedere e annullare ed è su questo terreno, che deve manifestarsi il massimo impegno politico. Il soggetto descritto nel celebreaforisma di Leonardo Sciascia - Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere… è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è – non ha alcun senso e crea solo e inutilmente divisione.

Infine, il revisionismo storico non esiste, poiché suggerisce che un’altra verità possa esistere. Ma la ricostruzione del passato da parte degli storici si basa sulle fonti accreditate, sui fatti accertati, tutti, nessuno escluso. Se alcune fonti e alcuni fatti sono omessi nellanarrazione e s’interpretano quelli scelti a suffragio di un teorema prestabilito, allora non si fa Storia, ma Propaganda. E una democrazia che teme il proprio passato, dimostra d’essere fragile e immatura.



Massimo Carpegna

Massimo Carpegna
Massimo Carpegna

Visiting Professor London Performing Academy of Music di Londra. Docente di Formazione Corale e del master in Musica e Cinema presso Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi Tonelli..   Continua >>



Acof onoranze funebri
Che Cultura - Articoli Recenti
L'Astrazione figurativa di Carlo ..
Oggi la inaugurazione: l’esposizione rimarrà aperta fino al 5 maggio 2024
20 Aprile 2024 - 17:04
Vignola, sabato concerto dei DegHerl
Al Circolo Ribalta, musica live dalle 21
17 Aprile 2024 - 18:49
Vignola, domenica concerto dei Cloud ..
Al Circolo Ribalta, musica live più dj set dalle 19
12 Aprile 2024 - 12:11
La villa sulla scogliera, nel libro ..
Si è tenuta martedì pomeriggio nella cornice nella Meeting room di via Rua Pioppa a ..
11 Aprile 2024 - 09:49
Che Cultura - Articoli più letti
Gli italiani scoprirono che Muccioli ..
Intervista a Paolo Severi, uno dei protagonisti di SanPa, il documentario di Netflix. ..
17 Gennaio 2021 - 18:17
Se la locomotiva di Guccini si ..
Guccini si scaglia contro l'opposizione brandendo l'arma più subdola, la bandiera di ..
27 Aprile 2020 - 10:59
Agamben: 'Dopo questi 2 anni metto in..
'Se non si ripensa da capo che cosa è progressivamente diventata la medicina non si potrà ..
04 Dicembre 2022 - 15:22
Quattro dolci tipici della cucina ..
Il bensone, la bonissima, i tortelli fritti modenesi al savor e la torta Barozzi
01 Marzo 2021 - 17:51