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Professore di Filologia e linguistica all’Università di Bologna, direttore di tre riviste scientifiche internazionali e di numerosi gruppi di ricerca interuniversitari, ininterrottamente candidato al Premio Nobel per la Letteratura dal 2015, Francesco Benozzo ha pubblicato anche su La Pressa alcune analisi sulla gestione della pandemia. Ma forse vale la pena conoscere meglio il pensiero di questo professore che pur di non venir meno ai propri principi sta rinunciando al lavoro non volendo esibire il green pass, che peraltro possiede essendo guarito.
Professore, lei è noto come intellettuale anarchico: tra le tante altre pubblicazioni si ricordano il libro Anarchia e Quarto Umanesimo (Bologna, CLUEB, 2013) e l’album Libertà l’è morta (Tutl Records, Danimarca, 2014) composto insieme a Fabio Bonvicini, che è una raccolta di canti anarchici di fine Ottocento e primo Novecento.
In che modo le sue convinzioni anarchiche si sposano oggi con la sua visione critica della gestione della pandemia?
Semplicemente, penso che oggi sia finalmente chiaro a più persone il fatto che l’Anarchia non è un’utopia romantica e fuori dalla realtà, ma il risultato della lucida consapevolezza che sarebbe da folli affidare la gestione delle nostre vite a un dispositivo di potere che sempre di più realizza il proprio fine di controllarci ed annientarci. L’anarchia, per come ormai la intendo, è soprattutto una disobbedienza individuale e pacifica all’ingiustizia. Un dissenso poetico e tenace che renda vagamente sensata la mia effimera comparsata nei 5 miliardi di anni del pianeta.
Come vive la sua situazione di sospensione dal lavoro e dallo stipendio, che dura ormai da cinque mesi?
La sospensione è una conseguenza di quella che mi è parsa l’unica scelta di coerenza possibile.
In Italia siamo in tutto 2 sospesi su circa 70.000 docenti universitari, e non mi pare che il numero sia destinato a crescere. Quando, riflettendo su queste cifre, mi viene il dubbio di aver fatto davvero la scelta giusta, pagando così pesantemente in prima persona per ciò in cui credo, mi rispondo che in fondo bastarono tre o quattro bardi, nell’Europa del sesto secolo, per rifondare la nostra civiltà attraverso la parola poetica. Non importa che i loro nomi siano addirittura ignorati, che nessuno sappia oggi chi fossero Taliesin o Llywarch Hen. Ciò che importa è capire che quando essi scelsero la via delle scogliere e delle maree, lontani dal chiacchiericcio del mondo in sfacelo, non fu certo un modo di fuggire. Fu un modo concreto di combattere incarnando un dubbio, forgiando un nuovo linguaggio, e diventando esempi in carne ed ossa di un mondo ancora possibile.
Io credo che sospendendomi dal lavoro mi abbiano tolto l’unica fonte di reddito che avevo per sopravvivere, ma che al contempo io abbia tolto loro l’unica possibilità che avevano di ricattarmi. In termini di consapevolezza poetica, questa è forse una immagine possibile di cosa sia la liberta in una società che ha paura della libertà.
Ha scritto almeno tre libri sulla scienza come arte del dubbio e come forma di dissenso epistemologico (l’ultimo pubblicato è Poesia, scienza, dissidenza, Bologna, CLUEB, 2020). Cosa pensa in sintesi, oggi, delle cosiddette “verità scientifiche”?
Le rispondo con una frase di Richard Feynman, il premio Nobel per la fisica del 1965: “Di fronte a un’ipotesi scientifica sperimentata, approvata, e infine spacciata dalla maggior parte degli scienziati come verità incontrovertibile, ci sono due sane reazioni che si devono avere: ridere a crepapelle dell’imbecillità di tali scienziati e inorridirsi per la loro arroganza”. Mi pare che sia palese come questa considerazione riguardi la patetica situazione contemporanea che vede gli scienziati al potere.
Dopo la sospensione dall’Università, ha tenuto una lezione all’aperto, a Bologna, intitolata “Filologia, Libertà, Anarchia”. Quale è la sua definizione di libertà, anche rispetto alle polemiche che imperversano su libertà individuale e libertà collettiva?
La libertà non può avere definizioni. Tutti oggi parlano di libertà. Spiegano infervorati che la libertà individuale finisce quando danneggia quella collettiva. Idea nobile, elaborata da millenni. Ma perché mai la libertà individuale di una persona perfettamente sana e in grado di ragionare dovrebbe danneggiare quella collettiva di persone eventualmente malate che ostentano tuttavia, a finta garanzia del loro stato di salute, un cartellino simile a quelli con codice a barre che penzolano dai manichini dei grandi magazzini? Temo che oggi non stiamo parlando di libertà individuale contro libertà collettiva, ma di individui pensanti contro masse lobotomizzate
Cosa ne pensa del movimento politico che si sta creando in Italia, ad opera di alcuni suoi colleghi, per arginare lo stato di sorveglianza? Ha mai pensato di farne parte?
Naturalmente no! Sarebbe una sconfitta di tutto ciò in cui credo e del mio modo di pensare. L‘unica azione “política” in cui credo è la scelta poetica della disobbedienza civile. Rendere il dissenso individuale un partito è come trasformare un faggio selvatico in un comodino.
Ha parlato in alcune interviste della “sospensione dell’incredulità” come meccanismo in virtù del quale è stato possibile che intere popolazioni siano state in definitiva “manipolate” dalla narrazione dominante. Si sente di assolvere, dal suo punto di vista, chi è rimasto a sua insaputa incastrato in questo trabocchetto?
Non devo certo assolvere io qualcuno, non so nemmeno se assolvere me stesso! Certamente tuttavia mi dico spesso che se uno spettacolo è disgustoso, più che gli attori che recitano andrebbero contestati i milioni di spettatori che applaudono. Il problema di oggi, più che la scelleratezza dei delinquenti al potere, è la condiscendenza, e dunque la complicità, delle masse ipnotizzate, grazie alle quali i suddetti delinquenti si sentono in diritto di schiavizzare chi li applaude.
Vivo sensazioni spesso opposte. E se è vero che qualcuno mi dice che io porto luce e coraggio, con le mie scelte, devo nondimeno ammettere che vivo anche momenti di scoramento generale rispetto al genere umano e alla sua evoluzione. Quando ero piccolo, e fino a poco tempo fa, davanti a un morto mi chiedevo: “A cosa gli è servito nascere?”. Ultimamente mi sorprendo a farmi la stessa domanda davanti a ogni vivo.
In una sua intervista del marzo 2020 lei parlò senza mezzi termini dei morti per pandemia come di una “strage di stato”. Ha ancora oggi questa visione drastica?
Io credo che invece di colpevolizzare e affamare il popolo, il governo italiano avrebbe dovuto utilizzare da subito gli 80 milioni che sperpera ogni giorno – anche in stato di emergenza – in spese militari per costruire reparti di terapia intensiva. Basterebbero i soldi buttati via in quel modo in due soli giorni (in sole 48 ore) per raddoppiare gli attuali 8000 posti di terapia intensiva disponibili in Italia. Guardata in questa prospettiva, la questione dei morti per la pandemia, anche al di là dei calcoli sul numero effettivo dei decessi, non può apparire, tecnicamente, che come una strage di stato. Senza menzionare gli errori, temo consapevoli, sulle indicazioni che furono date relativamente alla famosa “tachipirina e vigile attesa”, che hanno causato migliaia di morti, non consentendo di fatto ai medici – sotto minaccia di radiazione – di curare a domicilio i malati. Anche questa circostanza può tecnicamente essere annoverata come un capitolo della stessa strage di stato.
Di recente ha affermato che il meccanismo della grande truffa del Covid sta per implodere. Può spiegare meglio cosa intende?
Sono stato tra i primi, due anni fa, a sostenere che il dispositivo di soggiogamento basato sulla truffa pandemica sarebbe stato potenzialmente infinito. Da qualche settimana ho invece la sensazione che tutto stia per implodere, e che la grande messinscena stia dando segnali di cedimento finale, proprio mentre gli attori che la realizzano alzano la voce in maniera ancora più autoritaria, ributtante e sguaiata.
Malgrado tutte le apparenze contrarie, io sento che le mortifere nebbie di questo sistema schiavista stanno per diradarsi e che è importante che io non ceda proprio adesso che l’oppressione si manifesta con più forza. È necessario che io continui a camminare baldanzoso e fiero, un passo dopo l’altro, senza cedere all’angoscia che questi servitori dell’Ombra continuano impunemente a spargere con sempre più consapevole bramosia. Conosco bene la densità delle nuvole impigliate sui versanti boscosi, e come essa si faccia più opprimente e cupa proprio in prossimità dei crinali pieni di vento e sole.
Mi pare in definitiva che il dispositivo di questa grande farsa sia ormai sfuggito di mano a coloro che si sono presentati ai cittadini in questi due anni come suoi autori o suoi esecutori, i quali ora annaspano tra una dichiarazione e l’altra, cercando appigli nel nulla della loro menzogna. E a costoro non resta ormai altro, mi pare, che provare a smantellare – magari aggrappandosi a qualche altra frottola – il castello di frottole che hanno contribuito a costruire, come si dice che avrebbe dovuto fare Noè con la propria arca se avesse avuto il dono di leggere il futuro.
In questi giorni la tutela dell’ambiente è entrata nella Costituzione italiana. Cosa pensa di questa novità?
Penso molto drasticamente che il consenso planetario creato ad arte in questi anni relativamente alle questioni ambientali stia preparando quella che sarà la più vasta operazione di sorveglianza di Stato di sempre, per la quale la pandemia e le sue abnormi derivazioni autoritarie sono servite come una prova generale. Immagino che tra non molto avremo un green pass (ormai collaudato e accettato come normale da quasi tutti) che non farà accedere a servizi essenziali e toglierà il lavoro a chi non si adeguerà, per fare un esempio, all’imposizione di sistemi di riscaldamento domestici finto-ecologici e finto-rispettosi della biodiversità.