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Il programma degli F-35 è in ritardo, i costi sono raddoppiati, ma si deve andare avanti. In sintesi è questa l'analisi della Corte dei conti sulla spinosa questione politica degli F-35. Per la Sezione di controllo per gli Affari comunitari e internazionali della Corte dei conti, il programma 'è oggi in ritardo di almeno 5 anni' per le 'molteplici problematiche tecniche' che hanno fatto anche si che i costi del super-caccia siano 'praticamente raddoppiati'; anche le prospettive occupazionali per l'Italia 'non si sono ancora concretizzate nella misura sperata'. Tuttavia, 'l'esposizione fin qui realizzata in termini di risorse finanziarie, strumentali ed umane è fondamentalmente legata alla continuazione del progetto' ed uscirne ora produrrebbe importanti perdite economiche.
L'analisi della Corte, in una fase in cui si discute della prosecuzione o dell'ulteriore ridimensionamento della partecipazione italiana al programma, riguarda solo l'aspetto economico.
E parte dalla 'constatazione che le molteplici problematiche tecniche riscontrate negli anni (e ancora non tutte risolte) hanno portato con sé ritardi' di almeno 5 anni rispetto al previsto - per la piena capacità di combattimento si dovrà aspettare almeno il 2021 - e 'notevoli aumenti del costo finale' di ogni apparecchio, 'praticamente raddoppiati'.
Per l'Italia, ricorda la Corte, sono intervenute due decisioni: 'la prima (nel 2012) ha ridotto da 131 a 90 il numero di velivoli da acquisire' (finora sono stati consegnati all'Aeronautica militare sette velivoli); 'la seconda (nel 2016) ha impegnato il governo, per aderire alle indicazioni parlamentari, a dimezzare il budget dell'F-35, originariamente previsto in 18,3 miliardi di dollari'.
La prima decisione 'ha avuto un costo per la base industriale' perchè vi è stata 'la perdita, in quota percentuale, delle opportunità di costruire i cassoni alari nello stabilimento di Cameri (Novara)'; la seconda ha prodotto finora 'un risparmio temporaneo pari a 1,2 miliardi di euro nel quinquennio 2015-2019, ma senza effetti di risparmio nel lungo periodo'.
Per quanto riguarda le ricadute economiche, la Corte sottolinea come queste siano al di sotto delle attese, 'anche per effetto del rallentamento generale del programma (che ha raggiunto per ora solo il 10% della produzione totale)'. Risultati inferiori alle attese soprattutto per l'occupazione - 'si parla per il momento di circa 1.600 unità effettivamente impiegate, a fronte di una 'forchetta previsionale' annunciata tra 3.586 e 6.395 unità' - e per il funzionamento della base di Cameri, che allo stato risulta 'sovradimensionata' e sotto-occupata. Ma 'se i ritorni programmati sono risultati ridimensionati rispetto alle aspettative, essi non sono però compromessi - avverte la Corte - e il prossimo avvio della piena produzione lascia aperte le prospettive per il futuro'.
'Gli ingenti investimenti effettuati (3,5 miliardi di euro fino a fine 2016, e più di 600 milioni ulteriori, previsti nel 2017) trovano la propria giustificazione in una logica di continuità', sottolinea la Corte dei Conti, secondo cui 'l'opzione di ridimensionare la partecipazione nazionale al programma, pur non soggetta di per sé a penali contrattuali, determina potenzialmente una serie di effetti negativi', in primis 'la perdita degli investimenti sostenuti finora, compresi quelli attinenti il sito di Cameri' e 'la perdita delle opportunità collegate' allo stabilimento piemontese, la cui competitività è 'fortemente legata' al mantenimento da parte dell'Italia degli impegni presi finora.
La valutazione complessiva del progetto, si legge nella relazione 'deve tener conto della circostanza che l'esposizione fin qui realizzata in termini di risorse finanziarie, strumentali ed umane è fondamentalmente legata alla continuazione del progetto. Alla sua continuazione corrispondono infatti non solo i costi fin qui affrontati ed i ritorni economici già realizzati, ma soprattutto i costi in termini di perdite economiche, ove avesse termine o si riducesse sostanzialmente la partecipazione al programma'.