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Le sentenze devono essere pronunciate “nel nome del popolo italiano”, non “in-vece del popolo italiano”. Al magistrato non compete alcun ruolo politico: non può, né inventarsi la legge, né stravolgerla con bizzarre quanto fantasiose - e a volte stravaganti - interpretazioni. Ad affermarlo e’ l’On.Avv. Enrico Aimi, membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura che interviene nel vivace dibattito in corso sui delicati rapporti tra magistratura e politica.
“I personalissimi convincimenti del giudice o delle “culture” di riferimento - prosegue - devono rimanere fuori dalle aule di giustizia. E’ La nostra Costituzione a rimarcarlo, affidando un ruolo centrale al Parlamento rispetto all’intervento giudiziario, con il solo limite, invalicabile, della conformità delle leggi alla stessa Carta, la cui verifica non appartiene al singolo magistrato, o ai collegi giudicanti, ma alla Corte Costituzionale. Questo è un principio cardine del nostro ordinamento, uno di quelli su cui si fonda la separazione dei poteri.
L’indipendenza della magistratura deve essere certamente difesa, ma va altresì preservato il buon funzionamento del nostro ordinamento democratico e costituzionale che pone il potere legislativo in una posizione inequivocabilmente di preminenza rispetto a quello giudiziario. Il primo e fondamentale articolo della nostra Carta Costituzionale stabilisce che “la sovranità appartiene al popolo”. Sono, dunque, i cittadini, che si esprimono in libere elezioni, che portano poi ad eleggere il Parlamento, cui spetta la funzione legislativa, mentre i magistrati sono soggetti soltanto alla legge. Allo stesso modo non compete loro di sostituirsi ad organi nazionali o sovranazionali per regolare le relazioni tra gli Stati. La circostanza singolare è che in tema di immigrazione solo la magistratura italiana registra problematicità inesistenti in tantissimi altri Paesi dell’Unione. Rammento che la definizione della lista dei paesi sicuri é competenza del governo, non dell’Unione europea, che può al più individuare i criteri generali per la loro definizione. É eclatante il caso dell’espulsione, a fine agosto, dalla Germania dei 28 cittadini afghani e rimpatriati nel proprio paese di origine, che non può essere certo ritenuto sicuro e democratico, oppure la Francia vuole aumentare il numero delle espulsioni in Iraq e Kazhakistan.”
Gianni Galeotti
Nato a Modena nel 1969, svolge la professione di giornalista dal 1995. E’ stato direttore di Telemodena, giornalista radiofonico (Modena Radio City, corrispondente Radio 24) e consiglie.. Continua >>