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Aids: diagnosi precoci calate causa Covid che ha ridotto le visite

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Intervista al Presidente Lega Italiana Lotta all'Aids Oldrini: 'Tre su quattro di coloro che hanno l'aids sono maschi e l'hanno contratto per via sassuale'


Aids: diagnosi precoci calate causa Covid che ha ridotto le visite
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I reparti di malattie infettive mobilitati dall'emergenza Covid hanno avuto l'effetto di limitare l'attività diagnostica rispetto ai casi di Hiv. E di confermare l'infezione prima della sua trasformazione in malattia. E' uno degli aspetti che nella giornata mondiale contro l'Aids emergono dall'intervista alla Dire del presidente della Lega italiana per la lotta contro l'Aids (Lila), Massimo Oldrini

- Presidente Oldrini, in questa Giornata vorrei che Lei scattasse una fotografia del nostro paese. Quali colori ha?
'Mi viene da dire che potrei scattare una foto un po' sbiadita, perché in Italia c'è una scarsa attenzione al tema dei dati: c'è un problema di dati, ci sono due registri, uno di Hiv e uno di Aids che non sono stati unificati, cosa che fa perdere informazioni, nonostante il ministero lo abbia annunciato dal 2017.

Ma, soprattutto, nel nostro paese non viene rilevato il numero di test Hiv effettuati e questo è un grande limite come abbiamo capito per il Covid. Comunque i dati del centro operativo Aids, il Coa, ci dicono che ci sono state 1.309 nuove diagnosi, un dato in diminuzione ma certamente influenzato dall'impatto che ha avuto la pandemia da Covid sull'accesso a tutto il sistema sanitario, in particolare ai reparti di malattie infettive che sono stati molto colpiti, quindi difficoltà, anche, di accesso al test'.

'Questi dati- chiarisce Massimo Oldrini, in occasione della Giornata mondiale contro l'Aids- non sono però poi così rassicuranti, perché ci dicono che c'è un preoccupante e costante aumento della percentuale di persone che scoprono tardivamente di avere l'Hiv. Di queste 1.300 persone, addirittura il 40% quando gli è stato detto che aveva l'Hiv gli è stato anche detto che ormai era già in Aids.

E sempre di queste 1.300 persone, il 60% aveva già meno di 350 linfociti CD4. Quindi, un sistema immunitario fortemente compromesso, con gravi conseguenze per la loro salute ma anche con un impatto sulla diffusione del virus dell'Hiv, perché le persone che non sapevano di avere l'Hiv, inconsapevolmente, se hanno avuto rapporti sessuali hanno contribuito al propagarsi, al diffondersi dell'infezione. Dunque, sono dati dai quali emerge chiaramente che l'Hiv nel nostro paese non è sotto controllo'.

Cosa fare per porre un freno questi numeri?
'Sicuramente bisognerebbe dare corpo al Piano nazionale Aids, promulgato nel 2017, un piano innovativo che raccoglie tutte le indicazioni dell'Onu, di Unaids e di tutte le agenzie internazionali, frutto di una collaborazione importante tra comunità scientifica e società civile. Questo Piano avrebbe potuto metterci sulla strada giusta ma è inapplicato, dalle regioni e dal governo, perché non è finanziato. Quindi, tutti gli interventi innovativi previsti, come l'erogazione gratuita della PrEP, farmaco che abbatte fino al 97% la possibilità di contrarre l'Hiv, l'accessibilità ai condom, perché comunque per i giovani è ancora un problema, la riduzione del danno, che è una politica che va adottata verso chi usa droghe per via iniettiva e non solo, sono rimasti al palo'.

Da due anni ormai ci siamo abituati a parlare di Covid-19, da un anno invece di vaccino. Perché ancora non esiste un vaccino per l'Aids?
'Non esiste un vaccino per l'Aids perché il virus dell'Hiv è un po' diverso dal virus del Covid. Sono state tentate ormai molte strade rispetto ai vaccini classici sull'Hiv, purtroppo nessuna ha dato esiti soddisfacenti. Va però detto che il salto tecnologico compiuto con i vaccini per il Covid, cioè la creazione di vaccini basati sull'mRNA, è un salto tecnologico che potrebbe aprire strade davvero nuove rispetto anche ad un vaccino per l'Hiv'.

Non esiste un vaccino per l'Hiv ma abbiamo a disposizione farmaci e cure. A che punto è l'Italia?
'L'Italia, su questo, per fortuna è messa bene. Nel nostro paese il sistema sanitario garantisce la disponibilità di farmaci antiretrovirali che oggi sono moltissimi, sono circa 24. Sono farmaci che consentono di cucire sulla persona una terapia efficace, sono farmaci sempre più facili da assumere, con meno implicazioni ed effetti collaterali. Certo, vanno presi per tutta la vita e su questo ci sono anche buone prospettive, nel senso che a brevissimo saranno introdotti anche in Italia farmaci a lento rilascio, che potranno far sì che attraverso una inoculazione una persona non assuma più ogni giorno il trattamento ma faccia un'iniezione ogni due mesi'.

Presidente, prima ci ha parlato di numeri. Volevo analizzare con Lei il concetto di test e di test rapidi. Sono questi i due elementi per far emergere il sommerso? Possono essere considerati come la carta vincente?
'Le agenzie internazionali puntano molto su questo. Noi, come Lila, ci crediamo e dal 2010 offriamo test rapidi gratuiti e anonimi nelle nostre sedi. Va però detta una cosa in modo molto chiaro: in Italia non è così facile fare il test per l'Hiv. In molti posti viene ancora richiesta la ricetta. Per legge dovrebbe essere presente un centro almeno in ogni provincia dove è possibile effettuare il test in forma anonima e gratuita, ma un centro in ogni provincia è decisamente molto poco, se pensiamo soprattutto alle situazioni dove ci sono province con pochi abitanti e le persone, anche a causa dello stigma, hanno paura di andare a fare il test. Certamente portare il test anche fuori dagli ospedali e dall'ambito sanitario è un passaggio importante, così come lo è stato anche portare il test in farmacia. L'Onu e Unaids incitano proprio a far fare i test alle associazioni, alle comunità, alla società civile a vendere i test in farmacia. Queste due strategie potrebbero davvero incidere e portare alla luce tutto quel sommerso che oggi invece, purtroppo, è il motore dell'Hiv, perché le persone che non fanno il test e non sanno di avere contratto l'Hiv non possono mettere in atto tutte le attenzioni per prevenire di trasmettere a qualcun altro'.

Qual è, oggi, il paziente tipo affetto da Hiv?
'Se guardiamo la totalità delle 130.000 persone che in Italia sanno di avere l'Hiv e che sono in cura facciamo una fotografia che può essere così riassunta: riguarda prevalentemente persone che hanno contratto l'infezione per via sessuale, quindi maggiormente uomini perché uomini eterosessuali e uomini omosessuali, mentre riguarda donne in un quarto dei casi. Queste 130.000 persone hanno un'età avanzata, perché è la somma di tutte coloro che dall'inizio della pandemia sanno di avere l'Hiv e che oggi sono ancora vive. I dati dell'ultimo bollettino del Coa ci descrivono, comunque, sempre un'età che via via aumenta intorno ai 40 anni, ci fotografano una situazione che riguarda prevalentemente le infezioni sessuali e prevalentemente i maschi.
Quello che è allarmante è che, prendendo le fasce di popolazione, i dati del Coa sottolineano che la fascia maggiormente colpita in percentuale è la fascia dei giovani dai 25 ai 29 anni'.

Lei ha parlato di prevenzione. Se aggiungiamo informazione e ricerca questi tre elementi sono sufficienti per vincere la battaglia contro l'Aids?
'Sì, aggiungerei solo il contrasto allo stigma. Sono gli elementi fondamentali su cui, per esempio, le agenzie avevano elaborato la fine dell'Aids entro il 2030. Negli obiettivi di sviluppo sostenibile nell'agenda 2030 c'era anche la fine dell'Aids per quella data e la fine dell'Aids era possibile proprio attraverso queste tre, quattro strade: prevenzione, dunque, attraverso condom, anche attraverso la PrEP e attraverso una maggiore diffusione dei trattamenti; informazione perché è l'unico modo che consente alle persone di capire che questo problema esiste; infine ricerca, perché oltre alle molecole è necessario sviluppare anche approcci e modelli di controllo delle epidemie che devono essere al passo con i tempi. Certamente anche il contrasto allo stigma è un altro problema molto grande e l'altro, enorme, se guardiamo al mondo, è abbattere le disparità. Pensate solo che oggi vivono 38 milioni di persone con Hiv nel mondo, 10 milioni di queste non hanno accesso alle cure'.

Quanto è stato importante 'Magic Johnson' proprio nel combattere lo stigma, argomento che Lei ha appena affrontato?
'E' stato molto importante, come molte altre persone, ma lui, forse più di altri anche per il tipo di notorietà, di motivo per cui era noto, è stato davvero davvero importante. È stata una delle prime persone che ha apertamente dichiarato la propria condizione, ha dichiarato di assumere le terapie, ha anche ripreso a giocare dopo questa comunicazione. È stato davvero un precursore. Dopo di lui ci sono state tante persone, che ringraziamo, perchè vanno ringraziate tutte le persone che dichiarano di avere l'Hiv e che hanno una grande notorietà, perché contribuiscono a dare un'immagine diversa dell'Hiv. Un'immagine reale, fatta cioè di persone normali che attraverso rapporti sessuali contraggono l'Hiv. Nel nostro paese questo è un po' più difficile, in altre nazioni ci sono stati addirittura ministri, sindaci, sportivi di qualsiasi disciplina che hanno dichiarato di avere l'Hiv. Nel nostro paese questo avviene con una maggiore difficoltà e ci restituisce anche un po' il livello culturale e sociale in cui avere l'Hiv è ancora percepito dalla nostra società. In Italia ci vorrebbe uno scatto in avanti anche su questo fronte'.
Sono passati 30 anni dalla conferenza shock di 'Magic Johnson', simbolo della lotta contro l'Aids che continua ancora oggi.
'Dio mi ha davvero benedetto- ha scritto in un Tweet lo scorso 7 novembre-. Ringrazio il Signore per avermi tenuto, dandomi forza e guidandomi per 62 anni ma soprattutto gli ultimi 30'.

Redazione Pressa
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La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, ..   Continua >>


 
 
 
 

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