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'Siamo al rush finale per il passaggio di mano della “gallina dalle uova d’oro”. L’88% di Autostrade per l’Italia sta per essere ceduto da Atlantia a Cassa Depositi e Prestiti, in cordata con Blackstone e Macquarie. L’uscita di scena dei Benetton sarà agevolata da una ricca “buonuscita” che va dai 7 agli 8 miliardi di euro, comprensiva di uno sconto sul prezzo - previsto inizialmente tra 8 e 10 miliardi - proprio per i potenziali danni e le eventuali cause risarcitorie legate al crollo del ponte Morandi'. Così Dario Balotta presidente Onlit (Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni Trasporti e Infrastrutture).
'Con la recente delibera dell’autorità dei trasporti che doveva essere successiva alla vendita, il compratore beneficerà anche di un aumento tariffario dell’1% annuo, con possibilità di arrivare all’1,7% fino al 2038, e un ristoro-Covid di 332,8 milioni di euro.
Due fattori questi che aumentano il valore dell’asset in corso di vendita - continua il presidente Onlit -. Il passaggio di proprietà è comunque in perfetta continuità con la gestione precedente: ci saranno tanti profitti, scarsi investimenti, poca manutenzione e automobilisti “spennati”. La musica, ovvero le regole contrattuali della concessione, resterà infatti la stessa. A cambiare saranno solo i suonatori. Da questa vicenda lo Stato ne esce da padrone, seppure a metà. E sarà un padrone perdente visto che i meccanismi regolatori tutelano prima l’interesse privato e poi (forse) il bene pubblico. La rendita di Aspi verrà trasferita da una holding privata a una finanziaria pubblica, la CDP, che - va ricordato - ha la missione di fare profitti (visto che deve restituire con gli interessi i risparmi postali), e che sta gestendo l’acquisizione con fondi d’investimento e finanziarie internazionali. Che tutto debba essere come prima, cioè che i profitti e le rendite debbano restare immutati, lo sostiene pure la Filt Cgil, secondo la quale “se si restringono i margini di guadagno per le concessionarie, gli effetti si possono scaricare sui lavoratori”'.