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Che qualcosa, forse, in quelle mascherine FFP2 in dotazione al personale viaggiante del trasporto pubblico, senza nessuna scritta riportata, inserite in una scatola che un conducente bus Seta aveva visto al mercato ambulante al prezzo di 2 euro al pacco, gli autisti lo avevano sospettato. Tanto che il 21 marzo, in una nota, il sindacato USB metteva nero su bianco questo: 'Sulle mascherine non è riportato il nome del produttore (es. 3M), il modello della mascherina (es. 8805), la norma costruttiva (es. EN 149: 2001 + A1:2009), classe di filtraggio (ffp2), indicazione di utilizzo (NR, non riutilizzabile, oppure, R, riutilizzabile), marchio CE e identificazione dell'organismo notificato (es.0123). Qualora manchi una sola di queste indicazioni, la mascherina è da ritenersi non conforme alla norma Europea'.
Oggi la conferma che forse alcuni dubbi sulla qualità di quelle mascherine potessero essere fondati, è arrivata.
Prima da Star Romagna, la locale azienda del trasporto pubblico che richiamando l'indagine ed i sequestri della Guardia di Finanza di Gorizia su un giro da 60 milioni di mascherine provenienti dalla Cina e distribuite dall'azienda romagnola, così come anche da altre aziende, ha comunicato che tra quei milioni c'erano probabilmente anche quelle distribuite al personale Star. Da qui l'ordine di non utilizzarle e di consegnarle.
La notizia della disposizione in Romagna arriva praticamente in tempo reale anche a Modena e, come detto, non stupisce numerosi autisti che già avevano avanzato perplessità nei giorni scorsi. Ma la strategia e la comunicazione di Seta, in questo caso, è più soft rispetto a quella dei cugini romagnoli. In un avviso interno la società di Strada S.Anna indica semplicemente di sostituire le mascherine vecchie con mascherine nuove FFP3 e delle verifiche in corso.
Che anche Modena sia stata interessata dalla fornitura di mascherine non regolarmente certificate è a questo punto più che probabile, e la diffusione potrebbe avere interessato diversi enti pubblici, dato anche l'enorme numero di pezzi prodotti e distribuiti sul territorio nazionale e regionale. Rimane il dubbio, per molti operatori pubblici, di avere lavorato per mesi, a contatto con centinaia di persone al giorno, in condizioni di potenziale e maggiore rischio, con strumenti di protezione non idonei. Che in un ente ed in un servizio pubblico colpisce ancora di più.
Gi.Ga.
Redazione Pressa
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