'Le tende non avevano il riscaldamento, meno male che i sacchi a pelo degli Alpini tenevano un po' di più. Anche la doccia, sempre con acqua fredda e poi c'erano continuamente scosse.
Il mio primo pasto caldo, ricordo di averlo mangiato dopo 5 giorni a Potenza, ce lo fece una famiglia che aveva un bar di fronte al Palazzo della Regione, uno dei piatti di pasta e fagioli più buoni della mia vita. Al campo invece, ricordo che una volta, per tre giorni non ci arrivò il pranzo e mangiammo solo tonno con cipolline e funghi provenienti dalle derrate alimentari'.
Com'era l'organizzazione?
'Noi eravamo divisi in compagnie, io ero nella 66esima, il comandante era Enzo Giacomin, una persona fenomenale, era il primo a fare tutto. lo chiamavano l'orso, se durante la marcia qualcuno scoppiava, lui prendeva anche il suo zaino. Alla fine aveva sempre tre/quattro zaini sulle sue spalle'.
Hai avuto contatti con la popolazione?
'Non c'era tempo, giusto qualche sera in qualche bar, non vedevamo neanche i volontari'.
Durante la permanenza a Baragiano come facevi a contattare la tua famiglia a Lama Mocogno?
'Innanzitutto dovevi trovare un telefono che funzionasse, poi chiamavo il bar del paese perché a casa non avevamo il telefono, un altro mondo'.
Che cosa ti ha lasciato quell'esperienza?
'A livello emotivo è un'esperienza molto forte, mi ha segnato e tieni conto che non ho visto il dramma vero, i morti, le macerie; mi ha fatto capire che se sei parte di certi gruppi pensi a fare quello che è il tuo compito, non ragioni come una persona singola e non c'è tempo per polemiche o altro'.
Sei mai tornato a Baragiano?
'No, io e alcuni commilitoni ci volevamo andare quest'anno per i 40 anni, ma il Covid ha bloccato tutto. Pensa che ho scritto un commento sulla pagina Facebook del Comune di Potenza, mi ha risposto direttamente il sindaco dandomi il suo numero di telefono e dicendomi che se mai andassi da quelle parti di contattarlo'.
Stefano Soranna