La Pasqua non è però solo il buio del venerdì santo; è anche e soprattutto l’alba della domenica. Per preparare discepoli alla sua morte e risurrezione, Gesù ha offerto proprio un’immagine materna: “la donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Giovanni 16,21). L’esperienza del parto è passione e gioia assieme, sofferenza e speranza nello stesso evento. Solo le madri lo sanno: per questo la morte del figlio è per loro quanto di più innaturale si possa vivere, quasi un parto alla rovescia. Ma le madri sanno inserire dei punti di luce nel dolore. Poco dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, il web diffuse un breve video che scosse milioni di persone: un giovane soldato russo in lacrime, fatto prigioniero ed evidentemente traumatizzato, è attorniato da ucraini che gli porgono un the caldo; alla sua destra una donna tiene un cellulare davanti alla bocca del giovane, che così può rassicurare sua madre facendole sapere che è vivo.
“Donna, ecco tuo figlio”: Gesù consegna a sua madre un altro figlio, il discepolo amato, che la prende nella sua casa: “ecco la tua madre” (cf. Giovanni 19,26-27). Solo il Signore può trasformare una croce in una culla, un sepolcro in una casa, un luogo di morte in un luogo di vita nuova. Dalla distruzione di una famiglia, nasce nella Pasqua una nuova famiglia. È l’indomabile speranza cristiana, che non annulla il dolore, non cerca (inutilmente) di aggirarlo, ma lo abita mantenendo accesa una luce: la certezza che l’amore, alla fine, vince. Sotto la croce di Gesù, Maria è come se vivesse una seconda volta le doglie del parto, in attesa della risurrezione, vita che vince. E sarà, oltre che la madre di Gesù, anche la madre del discepolo amato, cioè di chiunque di noi la prende nella sua casa. La speranza delle madri è più forte di ogni violenza e si annida dentro ad ogni croce.
+ Erio Castellucci