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Devianza minorile, se l'ascolto dei giovani è un compito, a chi tocca il compito di ascoltare?

Devianza minorile, se l'ascolto dei giovani è un compito, a chi tocca il compito di ascoltare?

La mia esperienza mi porta a credere che una figura che potrebbe risultare centrale potrebbe essere quella dell'Educatore professionale


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É in punta di piedi che provo ad inserire qualche mia riflessione all'interno del recentissimo dibattito sul tema della (così definita) devianza minorile nella nostra Città, dibattito avviato dalla lettera del nostro Sindaco indirizzata a questo giornale, cui ha fatto seguito l'editoriale del suo Direttore.
Per quanto ciò puó valere, premetto che ho trovato molto più che interessante e condivisibile la gran parte delle riflessioni che ho letto e non nascondo che mi ha fatto molto piacere trovarvi affermazioni che hanno volutamente superato le (haimè) consuete semplificazioni, dettate più dalla mancata volontà di approfondire l'argomento che non dal fattivo impegno per ricercare le possibili soluzioni del problema o, quantomeno, di valutare opportune ipotesi d'intervento per mitigarne le conseguenze.
 

In un passato non troppo lontano, ho avuto modo di 'avere a che fare' professionalmente con talune delle dinamiche che le giovani generazioni, in svariati modi, inserivano nel contesto sociale, familiare, scolastico e del tempo libero. É stato quando, dopo una lunga carriera operativa da Educatore minorile, sono stato incaricato dalla nostra Amministrazione comunale di coordinare il gruppo degli Educatori e delle attività con intenzionalità educative che venivano da quest'ultimi attuate e condotte nell'intero territorio cittadino.
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In quell'occasione, ben ricordo che il primo e prioritario impegno che, insieme all'intero gruppo di lavoro ci ponemmo, fu quello di creare e potenziare ulteriori luoghi/spazi di ascolto del (detto in sintesi) pensiero dei giovani coi quali ci si trovava ad interagire. L'ascolto dei loro vissuti, cioé, veniva a costituire la premessa di ogni ipotesi d'intervento.
Per questo, quando del tutto condivisibilmente, ho letto parole come 'occorrerebbe ascoltare il sordo rumore' (ed aggiungo io, anche il sordo silenzio) che proviene dai ragazzi, così contribuendo a spostare l'asse dell'attenzione dalla semplice condanna dei loro comportamenti alla ricerca di come proporre una loro tendenziale modifica… beh mi si é riaperto un po’ il cuore.
 

Sono convinto da tempo che alla degenerazione dell'attuale situazione contribuiscono profondamente le diverse cause di accresciuta povertà economica e culturale. E che, per arginare e tentare di modificare queste cause sarebbero necessari interventi complessi, articolati che non credo di essere neppure in grado di saper ipotizzare.
E mi sono anche convinto che sono del tutto inutili, perché irrealizzabili e quindi impercorribili, tutte le ipotesi solo sanzionatorie: non riesco a pensare, infatti, a come possa essere possibile continuare a perseverare nella continua e crescente richiesta, ad esempio, di incrementare le carcerazioni (anche minorili) in un contesto che già vede una situazione carceraria da incubo.
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Sia chiaro, anche per i suoi costi umani ed economici. Così come credo che non sarebbe sufficiente un incremento di soli compiti di controllo, necessari ma non risolutivi.
Quindi, per quantomeno 'partire', cosa si potrebbe (e, secondo me si dovrebbe) fare per cominciare, almeno, ad accogliere l'invito del nostro Sindaco e per mettersi quantomeno in ascolto dei (altrettanto e comunque) nostri ragazzi? Per comprendere le ragioni?
Insomma, chi, come e dove ascoltarli?
Della oggettiva possibilità che possano essere solo i loro genitori già si è detto; così come delle loro difficoltà di tempi, mezzi e capacità. Potrebbero essere solo i loro insegnanti, se non fossero gravati dalle complessità di gestione di gruppi classi tanto numerosi da rendere impraticabili le necessarie attenzioni. Potrebbero essere i Servizi sociali e sanitari, attraverso l'opera di Assistenti Sociali e Psicologi che certamente già lo fanno, ma coi limiti che restano loro imposti da calendari d'appuntamenti (e quindi di possibilità d'incontro) molto, ma molto proibitivi. Anche i Sacerdoti delle Parrocchie, ma con tutti i limiti connessi alle differenti culture e fedi religiose. Hanno modo e tempo di farlo i preparatori atletici ed allenatori sportivi, ma certo lo fanno nei confronti di quei giovani che, col fatto stesso di aver deciso di impegnarsi i tali attività, dimostrano una già posseduta maturità comportamentale.
 

Allora sarebbe il caso di lasciar perdere?
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Meglio di no.
La mia esperienza mi porta a credere che una figura che potrebbe risultare centrale o quantomeno molto utile per un tentativo di avviare quel 'cambiamento' auspicato dai due interventi citati potrebbe essere quella dell'Educatore professionale.
É certo che sto tirando l'acqua al mio mulino. Ne sono ben consapevole, ma sono anche consapevole che ad indurmi a questo convincimento sono le stesse premesse teoriche ed operative che caratterizzano questo ruolo. In termini professionali, l'Educatore é colui cui é delegata la maggior conoscenza del vissuto del minore col quale si rapporta. Lo é per la sua competenza psico-pedagogica, ma lo é soprattutto per il tempo e la continuità di frequentazione che può dedicargli. Se ben conservo il ricordo di ciò che ho conosciuto, uno Psicologo può essere in grado di 'vedere' un ragazzo con una ripetitività, se va bene, bimensile, così come lo é per un'Assistente Sociale. Per un Educatore, invece, l’incontro potrebbe (e dovrebbe) essere quanto meno settimanale. Il suo compito, infatti, é quello di mettersi nelle condizioni di comprendere gli agiti di chi si trova di fronte e talvolta anche di condividerne una parte, di essere un promotore di cambiamento. Ai miei tempi si diceva che l'Educatore é un 'perturbatore' (comportamentale ed emotivo), un suggeritore di novità e di riflessioni.
 

Ma qui mi fermo, perchè è qui che, a mio avviso, anche qualora si condividesse quest'ultima lettura ed anche per rendere proficua ogni ulteriore argomentazione, ci sarebbe da porsi una prioritaria domanda, che, senza una puntuale e positiva risposta, renderebbe vano ogni ulteriore approfondimento.
E la domanda é, o, meglio, sono due: L'Amministrazione di cui il nostro Sindaco esercita la responsabilità é in possesso delle risorse, specie umane, necessarie per perseguire un intendimento che vada in una direzione quale quella di cui sopra? Ne ha i numeri e. se non li ha, potrebbe cercare di dotarsene, con una determinata volontà poiitica?
 

Io, ad esempio, mi ricordo di tempi in cui, in ogni Circoscrizione non c'erano mai meno di tre/quattro Educatori. Dove in ciascuna realtà territoriale erano presenti delle attività (che si chiamavano Laboratori Socio-Educativi) che con cadenza anche più che settimanale accoglievano i ragazzi, proponendo loro attività 'coinvolgenti ed appetibili'. Vi erano luoghi d'accoglienza ed aiuto quali i dopo-scuola nei Quartieri, la Scuola-Bottega in piazzetta dei Servi. C'era la Scuola d'Arte Talentho, c'erano i Net Garage. I Centri Semiresidenziali. C'era un'Arteteca in Santa Chiara e diverse altre ‘cose' come il Centro Musica e quello di Musicoterapia col corollario del gruppo strumentale e corale Ologramma. So che qualcosa di tutto questo è rimasto, ma molto, troppo poco.
 

Ora, non sono tanto scriteriato da voler sostenere che quel tipo di 'presenze 'attive' potesse essere, da solo, determinante nel mantenere uno status quo giovanile che certamente era meno preoccupante di quello di oggi, Né penso che sarebbe utile e fondamentale pensare di riproporre tali e quali le medesime realtà che sono state funzionali allora.
Ma certamente, anche per capire cosa sarebbe necessario fare e farlo potendo godere dell'apprezzamento di coloro cui sarebbe rivolto, resta la necessità di porsi il problema con un'ampia riflessione che, secondo me, dovrebbe avere inizio col dare la risposta puntuale alla domanda che dà il titolo a queste righe.
Giovanni Finali
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