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Oggi si é tenuto il convegno dal titolo 'Comunicare l'handicap -la carta di Treviso'' presso la sede dell'Associazione Italiana sclerosi multipla di Reggio Emilia, da cui è emersa l'importanza, non solo etica, nell'affrontare tale argomento sui mezzi di stampa.
Si è iniziato con un breve excursus storico in cui si è passati da una visione dell'handicap distorto legata alla persona deforme, definita mongoloide, relegata in istituti quali i Cotolenghi, alla realtà attuale dove anche i termini legati alla disabilità sono cambiati e si va verso una vera parificazione dei diritti.
Oggi si é eliminata la parola handicap, lasciando posto al termine diversamente abile, ma anche questo termine non é corretto. Per i relatori si può invece parlare di disabilità visive o uditive, oppure disabilità di deambulazione. Le persone disabili sono disabili e non diversamente abili.
Segno tangibile di questo sono sicuramente le Paralimpiadi, dove emergono dei veri talenti, anche se il termine più adeguato nel campo sportivo o svolgimento di gare o tornei, sarebbe quello di Sport Integrato.
Nella scuola si registrano circa 2400 ragazzi con disabilità tra non vedenti o non udenti. Naturalmente si parla di disabilità riconosciute, ovvero certificate.
L'importanza nella comunicazione delle disabilità sarebbe entrare in empatia con la persona di cui stiamo parlando, senza usare termini oppure entrare in descrizioni che muovano a compassione. Quindi è pure sbagliato definire in qualche modo i disabili con categorie precisi o considerarli normodotati oppure normali, come non é nemmeno corretto considerarli come persone speciali, oppure eroi. É corretto invece considerarli per quello che sono, cioè disabili. Pensando che la disabilità non è di per sè una malattia. Di qui un richiamo per coloro che si occupano di informazione, al rispetto della carta di Treviso.
Flaviana Barbieri
Redazione Pressa
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