articoliIl Punto
Il suicidio dell'anarchia in salsa modenese nella melassa delle istituzioni
La Pressa
Il paradosso delle manifestazioni sedicenti anarchiche in linea e strutturate dal potere che contestano. Riflessione sul Rave Street party alla luce del dibattito consiliare

Da anni Lapressa.it offre una informazione libera e indipendente ai suoi lettori senza nessun tipo di contributo pubblico. La pubblicità dei privati copre parte dei costi, ma non è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge, e ci segue, di darci, se crede, un contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di
modenesi ed emiliano-romagnoli che ci leggono quotidianamente, è fondamentale.
La risposta dell'assessore comunale con delega alla sicurezza ed ex prefetto Alessandra Camporota all'interrogazione del consigliere Lega Giovanni Bertoldi, così come il dibattito che ne è seguito nell'aula del Consiglio comunale, alcuni giorni fa, hanno fatto emergere, al di là del merito, il naufragio e l'affondamento definitivo del movimento e dell'essere anarchico. O almeno così come rappresentato a Modena.
Il riferimento è quello alla manifestazione del novembre scorso che nuovamente si è dipanata per i viali nella cintura intorno al centro con un manifesto chiaro: esprimere la contrarietà al decreto sicurezza del governo di centro-destra ed in particolare ai nuovi strumenti di contrasto rispetto ai rave non autorizzati con occupazione di suolo.
Una manifestazione che si è svolta in maniera controllata, concordata con le forze dell'ordine che anzi hanno dato addirittura più possibilità di quelle che presumibilmente le stesse associazioni anarchiche organizzatrici avrebbero chiesto. Sfilare a ridosso del centro per ore con inquinanti mezzi a motore e musica a palla svuotando i viali dei parcheggi e rivoluzionando la viabilità per un intero sabato pomeriggio a ridosso delle festività natalizie. Il percorso, lo ricordiamo visto che è emerso dalla risposta dell'assessore, è stato concordato in sede di comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica coordinato e presieduto dal prefetto e poi sottoposto agli organizzatori che hanno accettato. Insieme alle forme ai modi e i tempi della protesta. Ed è su questo punto che la questione si gioca.
Anarchia solo di nome
Le manifestazioni anarchiche, a Modena, ormai sono tali soltanto nel nome. Di per sé nascono per esprimere di dissenso contro ogni forma di autorità e gerarchia. Gli anarchici, infatti, rifiutano lo Stato, le leggi imposte e le strutture di potere, sostenendo l'autogestione e la libertà individuale. Tuttavia, la gestione, l'organizzazione dei tempi e delle forme di queste manifestazioni da parte delle forze dell'ordine e degli enti competenti solleva un interrogativo fondamentale: come possono essere considerate autentiche manifestazioni anarchiche se organizzate e svolte all'interno di un quadro normativo e istituzionale che esse stesse contestano?
La contraddizione intrinseca
Quando un gruppo anarchico comunica la volontà di manifestare sottomette implicitamente ad un diniego che per diverse ragioni potrebbe arrivare da parte delle istituzioni, legittima e si adegua al sistema che rifiuta. Le forze dell'ordine e le autorità locali, infatti, sono chiamate a regolamentare e controllare l'evento, stabilendo orari, percorsi e modalità. Con insindacabile giudizio. L'intero processo è in contrasto con il principio anarchico che rifiuta l’imposizione di regole esterne. Non si tratta solo di una questione formale: chiedere un permesso per manifestare è un atto che implica il riconoscimento del potere statale e delle sue leggi. La contraddizione tra il contenuto della manifestazione, che si dichiara contro l’autorità, e il mezzo utilizzato per organizzarla, che si basa sulle funzioni dell'autorità stessa, ne mina l’autenticità e la coerenza. Paradossalmente gli anarchici che hanno manifestato negli ultimi due cortei hanno legittimato, più di quanto lo potrebbe fare un politico di centro-destra, il decreto sicurezza che si voleva contestare. Perché è proprio nella cornice di quel decreto che quella manifestazione si è svolta. Altro che dileggio e contrasto al governo; si è trattato di uno spot bello e buono al governo e alle sue strutture periferiche, e che ha avuto anche il merito, riconosciuto dagli organismi istituzionali, di avere funzionato bene di avere garantito la libera espressione delle idee all'interno di una cornice di generale legalità, dove anche le sbavature confermano la regola. Questo è il risultato di quella manifestazione, che piaccia o meno ai manifestanti modenesi.
La delegittimazione del messaggio
Autorizzare, o faremo meglio dire più correttamente non negare e quindi lasciare svolgere, una manifestazione anarchica significa, di fatto, normalizzare una forma di protesta che, al suo interno, dovrebbe respingere l'idea stessa di essere normata. Questo crea una sorta di legittimazione delle istituzioni contro cui si protesta. Non si può pretendere di sfidare l’ordine costituito e, al contempo, accettare che le stesse istituzioni stabiliscano le condizioni per farlo. La legalizzazione della protesta anarchica attraverso il riconoscimento delle autorità politiche e di polizia finisce per delegittimare il messaggio di fondo: se una protesta si svolge seguendo le regole del sistema che si vuole criticare, come può essere veramente un atto di ribellione?
Il paradosso (ideale( della sicurezza condivisa
Un altro aspetto critico riguarda l’adeguamento delle manifestazioni anarchiche ai protocolli di sicurezza stabiliti dalle forze dell'ordine. Le autorità competenti stabiliscono misure di sicurezza che, a loro volta, limitano e disciplinano, è comunque organizzano, le modalità della protesta. Questo approccio non solo contraddice il messaggio anarchico di rifiuto della gerarchia e del controllo, ma contribuisce anche a creare una 'protesta sicura', il cui obiettivo non è più quello di disturbare o minacciare l’ordine stabilito, ma di adattarsi a esso. La protesta diventa, in tal modo, una forma di dissenso 'accettabile', che non intacca realmente le strutture di potere.
La necessità (ideale) di una protesta radicale
Se da un lato le manifestazioni anarchiche autorizzate rispondono alla necessità di essere visibili e di attirare l'attenzione su problematiche sociali, politiche e ambientali, dall’altro si rischia che diventino solo un modo per dare l'illusione di agire, senza compromettere il sistema contro cui si lotta. Una protesta veramente anarchica, se dovesse essere tale, non dovrebbe cercare il consenso delle autorità, né seguirne le regole, ma sfidare apertamente l'ordine stabilito, creando situazioni di disturbo che non possano essere facilmente contenute o assorbite dal sistema.
Le manifestazioni anarchiche autorizzate, o tecnicamente sarebbe meglio dire non negate e anzi organizzate nei tempi e nei modi dalle istituzioni, sono per quanto detto un paradosso in sé. Non solo si contraddicono con i principi di base dell'anarchismo, ma rischiano di ridurre la portata della protesta stessa, trasformandola in un atto simbolico, adatto a giovani rivoluzionari da salotto, che non mette in discussione il potere esistente, anzi semmai oltre a legittimarlo rischia di esaltarlo, nelle sue funzioni.
Lungi dall'inneggiare all'illegalità o all'eversione sta di fatto che un'autentica espressione anarchica dovrebbe rifiutare qualsiasi forma di legittimazione da parte dello Stato e delle sue istituzioni, centrali e periferiche, nazionali e locali, tanto più alcuna concessione da loro, abbandonando la strada della protesta autorizzata in favore di azioni che veramente sfidano e mettono in crisi l'ordine stabilito. Ciò è provocatorio, davvero sfidante, anche se non auspicabile visto dal fronte di chi le leggi le rispetta. Ma solo in quel modo, la sua carica rivoluzionaria e il suo potenziale trasformativo potrebbero quantomeno fondarsi e rifondarsi di un significato.
Perché così si tratta soltanto e null'altro che una grottesca rappresentazione di se stessa, vittima e schiacciata dalle forme del potere che vorrebbe contestare è da un banale gioco delle parti. Un potere che a Modena ha assunto le forme di un sistema talmente consolidato da amalgamare e omogeneizzare, e controllare, in un'unica melassa culturale e politica anche la protesta ormai sole e soltanto caricatura di se stessa.
Gianni Galeotti
Gianni Galeotti
Nato a Modena nel 1969, svolge la professione di giornalista dal 1995. E’ stato direttore di Telemodena, giornalista radiofonico (Modena Radio City, corrispondente Radio 24) e consiglie.. Continua >>