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Sono nove i giornalisti uccisi per mano della mafia in Italia ma ogni giorno migliaia sono coloro che, colpiti da querele (che per l'85% dei casi si rivelano poi infondate), vengono limitati nell'esercizio del proprio lavoro di approfondimento e di inchiesta. Perché la querela, o anche solo la minaccia della querela, viene utilizzata sempre più spesso come strumento di intimidazione, in molti casi limitando e condizionando l'attività e la libertà giornalistica. Soprattutto quando a rischiarla, per inchieste ed approfondimento, sono free-lance e collaboratori esterni pagati magari da 3 euro e mezzo al 'pezzo'.
Insomma la querela come strumento utilizzato solitamente dai poteri (che forti lo sono già per definizione), per mettere il bavaglio o smorzare la voce di chi, facendo il proprio lavoro, fotografa e racconta realtà e verità scomode. Un fenomeno sempre più diffuso.
Se ne è parlato nel seminario organizzato dagli studenti della facoltà di giurisprudenza di Modena intitolato 'Una penna può fermare la mafia' nell'ambito della giornata di studi 'C'è chi dice No'
'Sono loro i veri eroi - afferma Sandro Ruotolo relatore all'evento - i giornalisti che fanno inchieste e scrivono a 3,5 euro al pezzo e che per ciò che scrivono sono colpiti da intimidazioni, minacce e querele. Sono loro, che non hanno dietro i grandi gruppi editoriali, che noi non dobbiamo fare sentire soli nel momento in cui vengono attaccati e minacciati. Anche a costo di andare firmare noi le loro inchieste'.
Le parole di Sandro Ruotolo, anche lui da anni sotto scorta come lo è Paolo Borrometi, con lui insieme sul palco dell'aula magna (entrambi intervistati da La Pressa domenica scorsa), strappano su questi punti l'applauso della platea.
A fargli eco l'intervento del legale nonché vicepresidente nazionale di Libera Avvocato Enza Rando. Belle parole le sue, di condanna verso la querela utilizzata dai poteri come intimidazione, a difesa di chi non può lavorare per 3 euro e mezzo al pezzo e vedersi raggiunto da una querela con richiesta di risarcimento da 1 milione di euro. E ancora, sulla necessità di assistere per non fare sentire soli i giornalisti oggetto di intimidazioni. Belle parole, si, che non mettiamo in dubbio non siano sincere, ma che stridono con la realtà dei fatti, almeno con uno dei fatti che ci ha colpito direttamente. Quello che ha visto Libera querelare un quotidiano (Prima Pagina, chiuso il 31 ottobre scorso), che dalle proprie colonne aveva portato alla luce l'elenco di consulenze avute dalla numero due dell'associazione, consigliere nel CDA della Fondazione Cassa Di Risparmio, dalle amministrazioni PD.
Uno scenario che per il direttore Giuseppe Leonelli poneva 'semplicemente' una questione non certo di legalità ma di opportunità. Soprattutto per un'associazione chiamata a svolgere anche un ruolo superpartes nei confronti delle amministrazioni pubbliche, verso le quali Libera potrebbe trovarsi a svolgere funzioni anche di controllo e garanzia, legate alle attività antimafia. Una semplice questione di opportunità alla quale ci si sarebbe aspettati di ricevere risposta non una querela. Perchè questa fu. Una querela nei confronti del giornale ma anche non troppo velate accuse di essere 'oggettivamente' a fianco delle mafie. Che non è proprio acqua di rose. Anzi, è accusa pesante, tale da costare al responsabile locale di Libera una, precedente, querela da parte del quotidiano.
Bene, anzi male, perché non sono belle cose da parte di chi agita il vessillo dell'impegno per unire e non dividere e per fare fronte comune e squadra con la stampa e giornalisti liberi, anche e soprattutto quando questi raccontano realtà e situazioni che danno, o possono dare, fastidio. Perché essere oggetto di una querela, soprattutto quando si è piccoli (ed anche se personalmente la si ritiene discutibile e non fondata, destinata a finire nel nulla), fa comunque perdere tempo e denaro, agita le notti ed i pensieri anche nel caso ne venga riconosciuta l'infondatezza. E sentirsi accusare di essere filomafiosi nel momento in cui si fotografa una situazione reale e in questo caso davvero 'oggettiva' (di consulenze che non presuppongono nulla di irregolare ma pongono una questione di opportunità 'politica') riguardante Libera ed il suo vicepresidente, agita ancora di più. Soprattutto se tutto questo arriva da parte di chi non manca, da palchi pubblici, di essere paladino di un atteggiamento, nei confronti della querela e del suo uso, corrispondente all'esatto contrario.
Nella foto: l'Avvocato Enza Rando, Vicepresidente di Libera, relatrice alla giornata di studi organizata dagli studenti della facolta di giurisprudenza dell'Università di Modena e Reggio Emila