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'Chi di voi è vaccinato?': dalla cattedra la domanda che offende

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Non si pensa neppure che dietro tutte le mani, sia quelle alzate sia quelle abbassate, ci sono genitori, famiglie, persone che stanno facendo scelte difficili


'Chi di voi è vaccinato?': dalla cattedra la domanda che offende
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Domandare è lecito, rispondere è cortesia? No, domandare non è una questione di liceità; lo constatiamo nella debolezza di questo proverbio, che vacilla pericolosamente se si sposta l’attenzione da una educata formalità al piano contestuale e intenzionale della domanda.
Si torni al 13 settembre 2021: segna l’inizio dell’anno scolastico per migliaia di alunni che si ritrovano a condividere gli spazi delle aule dopo mesi di incertezza. Per molti di loro, non c’è stato nemmeno il tempo di raccontare la propria estate e parlare con i nuovi compagni, perché una domanda è calata sulle classi dall’alto delle cattedre: «Ragazzi, chi di voi non è vaccinato?».

Ora, vorrei che tutti noi riflettessimo su questa domanda che ha segnato per tanti l’apertura dell’anno scolastico; in questa sede vorrei considerare due piani distinti, seppur interrelati: uno giuridico e un altro etico.

Da un punto di vista strettamente giuridico, la domanda rappresenta una grave violazione del concetto tanto abusato, ma da pochi approfondito, della privacy. Nessuno ha l’autorizzazione legale a chiedere lo stato vaccinale di chicchessia e a maggior ragione quando si parla di un vaccino non obbligatorio. Dunque, domandare nel nostro caso non solo non è lecito, ma è abuso e violazione del diritto alla privacy.
Il secondo piano nasce ancora una volta dall’abuso e si manifesta all’interno di un discorso etico che rischierebbe di portarci troppo lontano. Limitiamoci a porre solo alcuni spunti di riflessione in merito alla responsabilità del corpo docente. Solitamente l’insegnante si colloca rispetto ai suoi alunni all’interno di un rapporto di forza diseguale (si pensi ai voti, al sistema delle punizioni, all’impostazione della tradizionale lezione frontale).

La domanda, dunque, non avviene all’interno di uno scambio dialogico inter pares, ma all’interno di una struttura discorsiva verticale in cui: rispondere è ben più che cortesia, piuttosto è vissuto come un dovere dai ragazzi; inoltre, essendo la domanda per nulla neutra, il suo pubblico sa che, in base alle risposte fornite, ci saranno ripercussioni operative concrete («Sappiate che sarà colpa dei non vaccinati se non andremo in gita!»).
Il carattere surrettizio della domanda si fa manifesto: è discriminatoria implicitamente (nell’intenzionalità) ed esplicitamente (crea una discriminazione visibile nella classe tra chi è vaccinato e chi non lo è); responsabilizza indebitamente gli alunni non vaccinati attraverso il pernicioso meccanismo della colpa.

Infine, prima di porre tale domanda – e, in realtà, qualsiasi domanda – l’insegnante (dall’etimo latino, colui che dovrebbe lasciare un segno, non un trauma) si è chiesto come avrebbe fatto sentire il soggetto con la mano alzata? Non ha pensato allo stigma caduto sulla fronte di chi è stato fatto sentire colpevolmente diverso, senza nemmeno dargli gli strumenti per controbattere – o metterlo nella posizione di poterlo fare? Non si è pensato che dietro tutte le mani, sia quelle alzate sia quelle abbassate, ci sono genitori, famiglie, persone che stanno facendo scelte difficili per altri (i figli, in questo caso), in un contesto in cui parlare di libertà di scelta è diventato un lusso sempre più rischioso? Pensiamo di più, riflettiamo sul potere delle parole, sui loro effetti concreti e tangibili, sulla responsabilità che ognuno di noi ha nel maneggiare queste potenzialmente temibili armi.
Ebruk Busni - Modena

Redazione Pressa
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