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Campagna affissioni pro-life, l'assessore conferma: 'Tutto regolare e conforme'

Campagna affissioni pro-life, l'assessore conferma: 'Tutto regolare e conforme'

L’assessore alle Politiche di genere ha risposto a un’interpellanza presentata dai consiglieri del Partito Democratico Alberto Bignardi e Fabiana Giordano. Ma il consiglio sii divide. Dure critiche da sinistra


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I dubbi sulla legittimità e l'opportunità sollevati dai consiglieri del Partito Democratico firmatari dell'interpellanza rispetto alla campagna di affissioni pro-life ritenuta potenzialmente lesiva e discriminatorio, hanno trovato risposta chiara nell'amministrazione e nelle parole dell'assessore ai servizi sociali e alle pari opportunità Alessandra Camporota che ha chiarito come 'la campagna è risultata conforme sotto ogni profilo. La Polizia locale ha verificato la regolarità del pagamento per l’affissione, ma non ha potuto effettuare ulteriori controlli poiché l’autorizzazione era già scaduta al momento dell’intervento. Inoltre, l’ufficio Pari opportunità ha segnalato il caso allo IAP, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, che ha archiviato la segnalazione, ritenendo che non vi fossero gli estremi per un intervento.
Lo stesso IAP ha ricordato che, nel caso della comunicazione sociale – come quella in questione – la libertà di espressione gode di una tutela più ampia rispetto alla comunicazione commerciale, purché i messaggi non violino norme specifiche del Codice di Autodisciplina. In sostanza, secondo l’Istituto, i manifesti riflettono l’opinione dei promotori su un tema delicato e rientrano nei limiti della libertà di pensiero costituzionalmente garantita'.
 

L'interrogazione e la risposta hanno fornito l'occasione per illustrare il percorso previsto per le affissioni pubbliche: il soggetto interessato presenta la richiesta via mail o presso
gli uffici del concessionario ICA Spa, effettua il pagamento del canone e firma una clausola con cui si impegna a rispettare i principi del Codice di Autodisciplina, in particolare quelli relativi alla dignità della persona e alla non discriminazione. Tuttavia, ha precisato che il Regolamento attuale non prevede l’obbligo di allegare il bozzetto del manifesto, anche se nella maggior parte dei casi questo viene comunque fornito.
Pur riconoscendo la legittimità della campagna e l’assenza di strumenti per intervenire in modo più incisivo, l’assessore ha espresso la volontà dell’Amministrazione di avviare una riflessione sul Regolamento comunale. L’obiettivo è quello di rafforzare il bilanciamento tra la libertà di espressione e la tutela dei diritti fondamentali, in particolare per prevenire messaggi che possano risultare discriminatori o lesivi della dignità delle persone.
In quest’ottica, ha aggiunto Camporota, sarà utile approfondire anche l’esperienza del Comune di Rimini, che ha recentemente adottato misure più restrittive in materia di affissioni, rimuovendo manifesti No gender comparsi anche a Modena. Un confronto che potrebbe offrire spunti per eventuali modifiche al Regolamento modenese, sempre nel rispetto dei principi costituzionali e della libertà di opinione.
Il dibattito in Consiglio comunale sull’affissione dei manifesti promossi dall’associazione “40 Giorni per la Vita” ha acceso un confronto acceso e profondo, mettendo in luce posizioni fortemente divergenti.
Se da un lato è stata confermata la regolarità formale della campagna, dall’altro numerosi interventi hanno denunciato il contenuto dei manifesti come offensivo, stigmatizzante e potenzialmente lesivo dei diritti delle donne.

Il centro-sinistra: 'Messaggi che umiliano e colpevolizzano le donne'

La critica più netta è arrivata da Fabia Giordano (Pd), che ha sottolineato come i manifesti antiabortisti “umilino le donne, inducano sensi di colpa e giudichino chi prende decisioni complesse”. Per la consigliera, il punto non è discutere se “aborto sì o aborto no”, ma garantire il rispetto del diritto alla scelta. Ha quindi invocato un’applicazione più rigorosa del regolamento comunale per impedire affissioni che veicolino messaggi indecenti o discriminatori.
Sulla stessa linea, Laura Ferrari (Alleanza Verdi e Sinistra) ha definito il messaggio dei manifesti “meschino, insidioso e parziale”, accusandolo di “sfruttare la sofferenza umana per generare allarme e colpevolizzazione”. Ha auspicato che si trovino “modi più rispettosi e autentici per stare accanto alle donne in difficoltà”.
Alberto Bignardi, firmatario dell’interpellanza, ha parlato senza mezzi termini di “messaggi stigmatizzanti e colpevolizzanti”, ritenendo “inaccettabile” la loro presenza negli spazi pubblici. “Non è una questione neutra di libertà di pensiero – ha detto – ma di messaggi che esercitano pressione sulle scelte individuali, travisano la realtà e alimentano sensi di colpa”.
Ha concluso con un appello forte:

Voci contro: 'La libertà delle donne non si negozia'

Anche il tema dell’identità di genere e dell’educazione affettiva è stato al centro del dibattito. Federica Di Padova ha denunciato l’uso strumentale della cosiddetta “teoria gender”, definendola “una costruzione politica senza basi scientifiche, usata per attaccare l’educazione inclusiva e il rispetto dell’identità di genere”. Ha difeso il ruolo della scuola nel trasmettere ai ragazzi il messaggio che “non stanno sbagliando se provano attrazione o disagio rispetto al proprio sesso biologico”.
Grazia Baracchi (Spazio Democratico), da insegnante, ha condannato le “narrazioni fuorvianti contenute nei manifesti” che attaccano i percorsi scolastici di educazione affettiva e sessuale, difendendo questi ultimi come strumenti fondamentali contro bullismo e disinformazione.
Anna De Lillo ha ribadito che lo spazio pubblico deve essere “luogo di rispetto e inclusione”, condannando manifesti che “alimentano paura, discriminazione e divisione”. Ha affermato che “presentare l’aborto come un male assoluto nega il diritto delle donne a scegliere” e che simili messaggi “generano disagio psicologico”.

Le voci a favore, il centro-destra: 'Lasciate parlare le donne'

Di segno opposto l’intervento di Andrea Mazzi (Modena in Ascolto), che ha difeso i manifesti come espressione di un “dolore clandestino che merita ascolto e riconoscimento”. Ha definito le testimonianze riportate come autentiche e ha criticato chi ne chiede la rimozione: “Lasciate parlare le donne, non dite loro cosa possono dire e cosa no”.
Giovanni Bertoldi (Lega) ha riconosciuto che certi messaggi possano urtare, ma ha definito l’interpellanza “stucchevole”, sostenendo che “in democrazia si devono lasciare libere le persone di esprimere le proprie idee”.
Luca Negrini (Fratelli d’Italia) ha elogiato l’operato dell’Amministrazione e criticato “l’intolleranza di chi solleva scandalo ogni volta che un messaggio non rispecchia le proprie idee”. Ha ribadito che su temi come l’aborto o l’identità di genere “ci debbano pensare le famiglie, non la scuola”.

L’assessore Camporota: 'Non paragoniamo il dolore clandestino all’aborto clandestino'

In chiusura, l’assessore Alessandra Camporota ha voluto distinguere tra il “dolore clandestino” evocato da Mazzi e il dramma dell’aborto clandestino, ricordando “in quali condizioni si sono trovate molte donne prima dell’approvazione della legge fondamentale del ’78”. Ha ribadito la necessità di garantire la piena attuazione della legge 194, sottolineando che “è una legge dello Stato e va difesa”.
Il dibattito ha confermato quanto il tema sia ancora profondamente divisivo, ma ha anche evidenziato la volontà dell’Amministrazione di riflettere su strumenti più efficaci per tutelare la dignità e i diritti nello spazio pubblico.
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Nato a Modena nel 1969, svolge la professione di giornalista dal 1995. E’ stato direttore di Telemodena, giornalista radiofonico (Modena Radio City, corrispondente Radio 24) e consigliere Corecom (C...   

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