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L'appartenza e l'adesione ad un movimento, magari sancita dal versamento di una quota o contributo sociale, non dovrebbe essere il frutto di una scelta libera, non indotta e tantomeno obbligata? E' giusto che il diritto dei dipendenti pubblici di spendere un buono pasto concesso dall'Ente sia vincolato all'obbligo, per il dipendente, di entrare nel capitale sociale dell'attività commerciale nella quale il buono pasto viene utilizzato?
La questione, che potrebbe sembrare di poco conto (ma forse non lo è proprio perché ha a che fare con la sfera delle scelte individuali), è tornata alla ribalta in queste ultime settimane. Ovvero da quando, all'interno dei supermercati Coop, i controlli sul possesso della tessera di socio sui dipendenti pubblici titolari di buoni pasto utilizzabili per la spesa alimentare, sembrano essersi fatti più stringenti.
La storia è questa: I dipendenti (e sono migliaia nella sola Regione), di enti pubblici titolari di buoni pasto spendibili oltre che in mense e ristoranti convenzionati anche in alcuni supermercati (per l'acquisto di generi alimentari), si sono visti negare la possibilità di utilizzare i buoni negli stessi supermercati coop perché non titolari di una tessera personale che attesti il fatto di essere socio. Mentre in altri supermercati ed esercizi commerciali il buono pasto è spendibile senza essere socio, affiliato o comunque socio, alla coop il diriitto di utilizzare i propri buoni è vincolato. Nella maniera forse più stringente.
In realtà la questione non è di oggi. Il vincolo che limita la spendibilità dei buoni pasto erogati dalla Regione Emilia Romagna (e quindi utilizzabili da migliaia di dipendenti pubblici), è stato introdotto più o meno in concomitanza con la fusione di Coop Estense e Coop Adriatica.
Ma al di la delle dimensioni, il nuovo colosso cooperativo nato è e rimane comunque un soggetto privato, così come lo è ad esempio il ristorante o la mensa che accetta gli stessi buoni pasto.
La differenza è che questi ultimi non vincolano i clienti che li utilizzano all'essere socio della propria attività. Perchè di questo, seppur con numeri, dimensioni e statuti diversi, si tratta. Perché è questo che invece accade ad ogni dipendente dell'Ente pubblico, titolare di buoni pasto, che sceglie di utilizzarli nei punti vendita Coop.
Il punto non riguarda tanto Coop (libera di inserire nel regolamento sull'utilizzo dei buoni pasto, che già limita opportunamente alla spesa ai generi alimentari, anche un vincolo, seppur discutibile e delicato, di appartenenza ad un movimento e alla propria base societaria), bensì la Regione Emilia Romagna che lo legittima. Posto che ogni dipendente rimane libero di utilizzare i buoni in altri esercizi convezionati che non siano (o non siano più), supermercati Coop, è opportuno che un ente pubblico come la Regione accetti che il diritto concesso ai propri dipendenti a ricevere e ad utilizzare i buoni pasto negli esercizi convenzionati, sia limitato nel merito da un vincolo che entra a gamba tesa nella sfera delle scelte personali?
Entrare 'a fare parte' di un partito, di un'associazione, di un movimento cooperativo con specifici valori culturali, etici e 'politici' dovrebbe continuare ad essere frutto di una scelta libera, consapevole, motivata e non indotta da particolari condizioni, soprattutto quando queste limitano se non annullano il diritto all'utilizzo di un valore regolarmente concesso. tantopiù da un ente pubblico.
Gianni Galeotti