Credo sia doveroso – da un punto di vista scientifico e politico – affrontare un debriefing completo sulla gestione dell’emergenza. Serve un’analisi onesta e autocritica, accettando eventuali errori per evitare che si ripetano in futuro. È l’approccio più costruttivo che possiamo adottare.
Ruolo e incarico della Prof. Gismondo durante la pandemia
Durante il periodo pandemico ero già direttrice del Dipartimento di Microbiologia Clinica, Virologia e Bioemergenze all’Ospedale Sacco di Milano, una delle strutture designate come “Covid Hospital”.La mia esperienza professionale include anche la rappresentanza tecnica del Ministero degli Affari Esteri presso la Commissione ONU per il disarmo biologico, a Ginevra. Ho sempre lavorato nell’ambito delle bioemergenze: è stato il cuore della mia carriera scientifica.
Autopsie negate e terapie sbagliate: le prime fasi della pandemia
La domanda che dobbiamo porci è: cosa sarebbe accaduto se alcune decisioni fossero state diverse nei primi tre-quattro mesi della pandemia? Cosa sarebbe cambiato se si fossero effettuati tamponi anche agli asintomatici? Se si fossero svolte regolarmente autopsie, come da prassi in caso di patologie nuove?Se, invece di applicare il protocollo “tachipirina e vigile attesa”, si fossero usati antinfiammatori e anticoagulanti, in linea con la reale patogenesi della malattia?
Nel nostro ospedale, in collaborazione con l’ospedale di Bergamo, abbiamo condotto 70 autopsie – non vietate ufficialmente, ma di fatto ostacolate dalla necessità di autorizzazioni giudiziarie. I risultati sono stati illuminanti: i polmoni dei pazienti deceduti erano pieni di coaguli. Intubarli in quelle condizioni non solo era inutile, ma dannoso.
Ricordo i colleghi rianimatori dire: “Intubare questi pazienti è come forare un muro di cemento”. Stavamo ignorando l’aspetto trombotico-infiammatorio della malattia. E tutto ciò accadeva perché non avevamo un piano pandemico aggiornato.
L’assenza del piano pandemico: la madre di tutti gli errori
Nel 2020 pubblicai un libro per l’editore La Nave di Teseo, in cui scrivevo:“La crisi da COVID-19 non è dovuta solo all’aggressività del virus, ma alla sua capacità di travolgere un sistema sanitario fragile e impreparato”.
Già nel 2006 era stato istituito un piano pandemico nazionale. L’unico aggiornamento del 2010 fu solo formale: un cambio di date, senza veri contenuti operativi.
Il Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) – istituito nel 2004 – aveva persino un sottocomitato dedicato alla pandemia influenzale, ma era inattivo da anni. L’ultima riunione plenaria del CNBBSV fu il 4 dicembre 2019. Dopo di allora: silenzio.
Eppure, fra il 2001 e il 2020, ben quattro esercitazioni internazionali avevano previsto pandemie da coronavirus. L’ultima si era svolta a New York nell’ottobre 2019, con la partecipazione anche di funzionari italiani. Le raccomandazioni erano chiare: stock di dispositivi di protezione, scorte farmaceutiche, piani di riconversione ospedaliera.
Niente di tutto ciò è stato fatto. L’Italia, all’inizio della pandemia, contava solo 5.000 posti letto in terapia intensiva, contro i 24.000 della Germania. Il risultato? Quattro volte più morti.
Alcuni gravi errori gestionali
La dottoressa Rita Gismondo riporta in commissione alcuni esempi:'La definizione di caso sospetto fino a marzo 2020 includeva solo pazienti con gravi sintomi respiratori e collegamenti con la Cina. Si escludevano totalmente gli asintomatici, principali vettori del contagio. La circolare del 27 febbraio 2020 (n. 6337) limitava l’uso dei tamponi ai soli sintomatici. Quante infezioni si sarebbero potute evitare?
In fase iniziale, i tamponi positivi dovevano essere confermati dall’Istituto Superiore di Sanità, causando ritardi di giorni nelle diagnosi. Il divieto di voli diretti dalla Cina non servì: i viaggiatori facevano scalo in altre città europee.
Il 2 marzo 2020, un decreto autorizzava l’uso di mascherine senza marchio CE. Il 12 marzo, visto che non c’erano mascherine, fu permesso l’uso di qualsiasi tipo di tessuto. Solo il 28 marzo si raccomandava l’uso delle mascherine, ma solo per i sintomatici.
Tutto questo nasceva da panico e improvvisazione. Lo so per certo: parlando nel 2020 con il ministro Speranza, mi resi conto che non sapeva a quale protocollo fare riferimento, perché un piano non esisteva.
Vaccini e libertà scientifica
In una prima fase ero favorevole alla vaccinazione. Ma, venuta a conoscenza della tipologia di vaccino e della mancanza di sperimentazioni accurate, ho espresso dubbi legittimi da scienziata.Sul sito dell’OMS, nel 2020-21, erano elencati molti vaccini in sperimentazione, anche tradizionali (proteici). Eppure, è stata scelta una sola tecnologia: quella a mRNA, nuova, promettente, ma priva di certezze a lungo termine.
Un documento dell’FDA segnalava già anni fa che, per verificare la sicurezza dei vaccini a RNA, sarebbero serviti almeno 20-30 anni, poiché il rischio di mutazioni cellulari è concreto, seppur raro.
Anche su questo fui attaccata, perfino sottoposta a una commissione disciplinare dall’Ordine dei Medici, e ricevetti una censura formale. Mi fu addirittura chiesto di promettere “buona condotta futura” per proseguire il mio incarico da primario.
La confusione nella gestione regionale
La disorganizzazione non fu solo nazionale. Anche a livello regionale mancava coordinamento. In Lombardia, il presidente Fontana dichiarava che si potevano fare passeggiate a un chilometro da casa, mentre in Emilia-Romagna era vietata perfino la corsa individuale. Abbiamo avuto regioni rosse, gialle, arancioni, basate su dati opachi e discutibili.Il numero 'discutibile' dei decessi Covid
I numeri dei morti: quanti erano davvero “per COVID”? Un’ultima riflessione: i dati sui morti da COVID sono discutibili.In molti ospedali, bastava una positività al tampone, anche in assenza di sintomi, per classificare un decesso come “morte per COVID”. Anche questo, non lo dimentichiamo, comportava vantaggi economici per le strutture sanitarie.

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