Da anni Lapressa.it offre una informazione libera e indipendente ai suoi lettori senza nessun tipo di contributo pubblico. La pubblicità dei privati copre parte dei costi, ma non è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge, e ci segue, di darci, se crede, un contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di
modenesi ed emiliano-romagnoli che ci leggono quotidianamente, è fondamentale.
Una commissione tecnica regionale che ha svelato sostanzialmente la fragilità degli argini del Panaro, che ne ha provocato la rottura e dato origine alla quinta rotta in 60 anni in un tratto del fiume quasi alle porte di Modena. Più di 80 milioni di euro di danni a Nonantola e zone limitrofe, non ancora risarciti, e ancora tanti interrogativi senza risposta legati ai ritardi di circa 7 ore nell'avvio dell'intervento di riparazione della falla su cui quasi nessuno, se non l'Assessore regionale Priolo, ha saputo dare risposta.
Due anni fa, La Pressa documentò in diretta, a poche ore dalla rottura, la falla creata dall'acqua nell'argine del fiume Panaro, a sud di Modena, poco prima del ponte di Navicello, in località Bagazzano.
Uno squarcio ed un collasso creatosi all'alba sull'argine in destra, nonostante il livello dell'acqua, regolato dalle casse di espansione a monte, fosse tenuto ad un livello di relativa sicurezza, con un franco della sommità dell'argine stesso di almeno un metro. Una falla che da pochi metri diventò enorme, interessando un fronte di circa 70 metri dal quale milioni di metri cubi di acqua si riversarono nelle campagne in direzione sud travolgendo a pieno la zona industriale di Nonantola e successivamente il centro storico della città. Generando danni per più di 80 milioni di euro. Ad abitazioni, imprese, strutture ed edifici pubblici.
La diretta di due anni fa dal punto della rotta
La vista dall'alto della zona industriale di Nonantola invasa dall'acqua
Due le criticità fondamentali emerse il 6 dicembre di due anni fa.
Criticità evidenti che, paradossalmente, anziché entrare nelle discussioni e nei dibattiti istituzionali sulla prevenzione di eventi simili futuri, ne sono state escluse. Lasciando di fatto quelle criticità allo stesso livello del 2020.
La prima è legata all'evidenza della fragilità strutturale dell'argine del Panaro (confermata dalla commissione tecnica regionale sulle cause della rotta, e comunque di un tratto di circa due chilometri, teatro non solo di 5 rotte dagli anni 60 ad oggi ma che, nel 2014, nello stesso giorno della rotta del Secchia aveva mostrato un altro pericoloso cedimento, 'tamponato' solo in extremis da un gruista della zona che si mise a rischio per evitare che le alluvioni, quel giorno, fossero due. I 8
La seconda è legata alle circa sette ore trascorse dalla rottura dell'argine all'inizio degli interventi di riparazione dello stesso, poi avvenute in tempi record. Intervallo di tempo lunghissimo, documentato da La Pressa, quello trascorso dalla rottura dell'argine ai primi interventi per la riparazione, durante il quale da pochi metri la falla nell'argine si è allargata a circa 40 metri, poi a 70, scaricando milioni di metri cubi di acqua verso Nonantola. Senza che nessuno agisse. Nella diretta de La Pressa sul punto della rotta, insieme a Massimo Neviani del Comitato Salute Ambientale di Campogalliano, documentammo che fino alle 12,15 nessun mezzo pesante (gru e camion) salì sull'argine (presumibilmente per l'inadeguatezza, altrettanto documentata, della rampa di accesso all'altezza del viadotto Tav, a circa 400 metri dal punto della rotta), e che allo stesso orario non era stato trasportato sul posto nessun masso ciclopico e nessuno tipo di materiale funzionale ai lavori di riparazione.
Doveva trascorrere almeno un'altra ora, dalle 12,15, per l'avvio dei lavori sulla falla. Intorno alle 15, confermò Aipo sul proprio sito, venne posto il primo masso ciclopico. Trascorse più di 8 ore dal collasso dell'argine.
Sette ore per iniziare i lavori sulla falla. Perchè? La domanda all'Assessore regionale Priolo
Nei mesi successivi, nei quali dalla relazione conclusiva della commissione tecnica regionale sulle cause della rotta arrivò anche la conferma che il cedimento dell'argine non avvenne per l'azione di animali da tana ma per l'estrema fragilità strutturale dell'argine stesso (realizzato con antico materiale da demolizione e contenente ceppaie di altrettanto antica vegetazione), tale da provocarne infiltrazioni e la rottura anche con un livello relativamente basso e comunque in sicurezza dell'acqua (al momento della rotta del 6 dicembre, grazie all'azione di taglio della piena delle casse di espansione, il livello era circa un metro o un metro e mezzo sotto alla sommità dell'argine).
Questi due temi centrali, legati a criticità oggettive che hanno provocato la rottura dell'argine ed i ritardi nell'avvio dell'intervento di riparazione, e quindi fondamentali per programmare interventi di prevenzione rispetto a rischi simili, sono spariti dal dibattito, dagli approfondimenti e dagli interventi sulla sicurezza. Da subito e nei mesi a venire.
Sul tema delle rampe di accesso agli argini, fondamentale per garantire la tempestività di intervento dei mezzi da cantiere, a domanda posta all'assessore regionale Priolo a margine di una visita alla cassa di espansione, abbiamo ricevemmo soltanto la conferma che il problema esisteva insieme alla promessa di impegno a studiare e monitorare tali criticità.
Quanto hanno pesato più di 7 ore di fuoriuscita di acqua dall'argine rotto, soprattutto su Nonantola? Ovvero, se i lavori di riparazione della falla, pur rapidi, fossero iniziati diverse ore prima, anziché dopo più di 7 ore, è chiaro che la quantità di acqua fuoriuscita sarebbe stata di gran lunga inferiore. Con un impatto sicuramente minore su Nonantola. Un tema mai più affrontato, né sotto il profilo delle responsabilità, né della prevenzione, e che rimane ancora oggi desolatamente sul tavolo.
Sul tema della fragilità strutturale degli argini del Panaro che vennero definiti di larghezza inadeguata dalla relazione del 2018 dello studio Paoletti commissionata da Aipo, siamo rimasti di fatto alle dichiarazioni di intenti e alle previsioni di spesa annunciate e ribadite anche recentemente, ma nulla più.
Senza considerare che tali criticità, tanto evidenti quanto non risolte, si inseriscono nel quadro più generale di un bacino, quello del Panaro, che non è in sicurezza se non per piene con tempo di ritorno 50 (livello quest'ultimo raggiunto solo dopo l'adeguamento con paratoie delle casse di espansione nel 2012), quando il parametro minimo, per considerarlo tale, sarebbe quanto meno, a monte della cassa, un TR100, Considerando che per il tr200 non ci sono nemmeno i progetti. Purtroppo la piena medio piccola di due anni fa ha dimostrato che nonostante il livello del fiume fosse in sicurezza, l'argine, per la sua intrinseca fragilità, ha ceduto. E oggi nulla e nessuno può garantire più di ieri che ciò non si ripeta.
Nel video seguente il lavoro da parte dei Vigili del Fuoco giunti a Nonantola
Nel video seguente, del 6 dicembre 2020, le immagini della prima ruspa che intorno alle 12.15 circa 6 ore dopo la rottura, riesce a salire sull'argine attraverso una rampa di accesso all'altezza del viadotto Tav che senza l'intervento di camion di ghiaia non avrebbe potuto sopportare né il peso delle ruspa né il successivo passaggio dei camion carichi di massi ciclopici per la chiusura della falla.
Criticità che, senza risposta e gestione prospettiva di soluzione sul fronte della prevenzione, continuano a rimanere aperte.