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Aumenta il numero delle imprese registrate, ma è in calo quello delle attive. E’ questa in estrema sintesi la dinamica che emerge dalla lettura dei dati ufficiali sulla natalità e mortalità delle imprese nel secondo trimestre 2017, diffusi da Unioncamere Emilia-Romagna che ha elaborato i dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio.
Un dato che nasconde una (forse non solo apparente), dicotomia di fondo. Da un lato c'è voglia di fare impresa e, dall'altro, c'è una sempre più diffusa difficoltà di fare impresa. Confermata dal fatto che nei settori 'tradizionali' e 'portanti' dell'economia regionale, le imprese, almeno quelle che non falliscono o non vengono chiuse, non lavorano. Dati che se da un lato potrebbero prestarsi alla più superficiale propaganda politica (tenendo solo in considerazione i numeri assoluti riguardanti l'aumento delle iscrizioni di nuove ditte alle camere di commercio), dall'altro obbligano la politica stessa ad una riflessione di merito su che cosa in realtà sta realmente accadendo.
Perché se ci sono ditte che vengono create per non lavorare allora c'è un problema, così come c'è un problema quando a distanza di un solo trimestre migliaia di ditte passano dall'attività all'inattività.
I dati
Le imprese registrate in Emilia-Romagna sono risultate 457.951 a fine giugno, 696 in più (+0,1 per cento), il più contenuto aumento congiunturale rilevato almeno negli ultimi venti anni, con riferimento al secondo trimestre. L’aumento a livello nazionale è risultato lievemente più ampio (+0,5 per cento). Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, nel trimestre le iscrizioni (6.314) sono leggermente diminuite e hanno segnato il nuovo minimo degli ultimi venti anni. Le cessazioni (5.644) sono invece aumentate, anche al di sopra dei valori del 2015, al nuovo massimo degli ultimi 4 anni.
E’ però il dato delle imprese attive a rendere l’effettiva capacità della base imprenditoriale. A fine giugno, le imprese attive erano 406.
134, quindi 3.658 in meno (-0,9 per cento) rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno. Il ritmo della flessione tendenziale rilevata accelera rispetto a quello riferito allo stesso trimestre dello scorso anno (-0,5 per cento). A livello nazionale le imprese attive segnano solo una lievissima flessione (-0,1 per cento).
I settori di attività economica. A determinare la riduzione delle imprese attive, l’agricoltura, silvicoltura e pesca (-1.196 unità, -2,0 per cento), le costruzioni (-1.163 unità, -1,7 per cento) e l’insieme del commercio (-1.071 unità, -1,18 per cento). Segno rosso anche per il settore manifatturiero (-779 unità, -1,7 per cento) e le attività immobiliari (-511 unità, -1,9 per cento). Segnali positivi solo dai settori dei servizi, in primo luogo dell’aggregato del noleggio, delle agenzie di viaggio e dei servizi di supporto alle imprese (+402 unità, +3,5 per cento), quindi dalle attività professionali, scientifiche e tecniche (+215 unità, +1,0 per cento).
La forma giuridica. La riduzione tendenziale della base imprenditoriale è stata determinata dall’ampliarsi dall’andamento negativo delle ditte individuali, scese di 2.892 unità (-1,2 per cento) e delle società di persone , diminuite di 2.109 unità (-2,6 per cento). Queste ultime risentono negativamente dell’attrattività della normativa sulle società a responsabilità limitata, che sostiene l’aumento tendenziale delle società di capitale (+1.370 unità, +1,6 per cento), comunque sensibilmente più contenuto rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno.
Va considerato che gli effetti del ciclo economico si manifestano con ritardo sulla demografia delle imprese.
I dati riferiti al trimestre corrente riportano però all’attenzione alcuni aspetti. Rallenta ancora la natalità, mentre cresce nuovamente la mortalità.
La struttura imprenditoriale appare dicotomica: da un lato le imprese medio grandi e strutturate crescono in numero e dimensione, dall’altra una platea di piccole imprese senza duratura fase di espansione pare avere meno possibilità di crescere.