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La vergogna dei punti nascita chiusi: le grandi amnesie di Bonaccini

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Vivere in un posto dove far nascere i propri figli è un rischio, dove per raggiungere una sala parto occorre fare un'ora e mezza di auto, non è sicuro


La vergogna dei punti nascita chiusi: le grandi amnesie di Bonaccini
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Ci sono parole che restano scolpite nella pietra e, quando le si tradisce, quella pietra pesa come un macigno sulla credibilità di chi le ha pronunciate. 
Stefano Bonaccini, il governatore dell'Emilia Romagna che si vanta di avere una sanità di eccellenza nazionale, il presidente nazionale del Pd che ancora non ha archiviato l'ambizione di scalzare il segretario Schlein, sui punti nascita usò parole precise. 'Riapriremo i punti nascita chiusi'. Era il 2020. A tre anni di distanza a Castelnovo Monti, a Borgotaro e a Pavullo ancora oggi le partorienti non possono far nascere i propri figli.

Non solo, all'elenco da qualche mese si è aggiunto anche il punto nascita di Mirandola.
Ieri un miracolo ha consentito che una mamma di Finale riuscisse a mettere alla luce la propria bambina: da Finale al Policlinico di Modena occorre viaggiare per circa un'ora in auto, un'ora e mezza a seconda del traffico.

Troppo tempo. La piccola Teresa è nata sui sedili della macchina, in una piazzola di sosta a metà strada. Se quella mamma avesse potuto contare sull'ospedale di Mirandola avrebbe partorito in piena sicurezza a venti minuti da casa. E' solo l'ultimo di una lunga serie di casi simili. Alcuni altrettanto fortunati, alcuni finiti in immense tragedie (a maggio 2023 morì un bimbo all'ottavo mese a Reggio dopo essere stato trasferita da Castelnovo Monti, altro Comune che ha subito la chiusura del punto nascita).

Ora, si può discutere di tutto. Si può attaccare il Governo sui tagli alla sanità, sui fondi dell'alluvione, sulla sicurezza e anche sul ritorno del Duce in persona, ma la responsabilità della chiusura dei punti nascita modenesi è della Regione Emilia Romagna e, nonostante il presidente Stefano Bonaccini abbia ammesso l'errore, nonostante abbia promesso di porvi rimedio, i fatti sono rimasti immutati.

Oggi i futuri genitori che vivono in Appennino o nella Bassa, sono soli e hanno un motivo in più per abbandonarla quella terra, già provata dall'isolamento montano e dalle tragedie come l'alluvione e il terremoto. Una vergogna di fronte alla quale la reazione della Regione è quella della rimozione. Non se ne parla più, il problema non esiste. Una gigantesca amnesia dalla quale Bonaccini e la sua giunta si svegliano solo davanti ai periodici episodi come quello che ha visto protagonista la piccola Teresa insieme alla sua mamma e al suo babbo.

Vivere in un posto dove far nascere i propri figli è un rischio, dove per raggiungere una sala parto occorre fare un'ora e mezza di auto, non è sicuro. Punto. Null'altro da dire. Come sarà meno sicuro domani vivere in un posto dove il Pronto soccorso è stato chiuso per far posto a una roba con una siglia strana, Cau. Che, al di là della retorica e della narrazione politica piena di sorrisi e parole vuote, non è altro che un Pronto soccorso depotenziato. Questi tagli sono frutto di scelte della Regione. Lo si sappia. E il fatto che il presidente della Regione più amato d'Italia lo voglia o meno ammettere non cambia la realtà.
Giuseppe Leonelli

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