“Troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio”, l'allarme di Papa Francesco, che invita ancora una volta a “disarmare” la comunicazione, cioè a “purificarla dall’aggressività”: “Troppe volte essa semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive; usa la parola come una lama; si serve persino di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire”. “Non porta mai buoni frutti ridurre la realtà a slogan”, il monito: “Vediamo tutti come – dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social media – rischi di prevalere il paradigma della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica”.
Lo stile da adottare, per i comunicatori, è quello indicato nella prima lettera di Pietro: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto”. “La comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità”. “Sogno una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato - afferma il Papa -.
raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca; a imitare i cercatori d’oro, che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita”, per aiutare il mondo “ad essere un po’ meno sordo al grido degli ultimi, un po’ meno indifferente, un po’ meno chiuso”, scovando “le scintille di bene che ci permettono di sperare”.
Riprendendo il tema della sua ultima enciclica, “Dilexit nos”, il Papa declina una sorta di decalogo per i comunicatori:
“Essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro; parlare al cuore delle donne e degli uomini al servizio dei quali state svolgendo il vostro lavoro. Non permettere che le reazioni istintive guidino la vostra comunicazione. Seminare sempre speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto. Cercare di praticare una comunicazione che sappia risanare le ferite della nostra umanità. Dare spazio alla fiducia del cuore che, come un fiore esile ma resistente, non soccombe alle intemperie della vita ma sboccia e cresce nei luoghi più impensati: nella speranza delle madri che ogni giorno pregano per rivedere i propri figli tornare dalle trincee di un conflitto; nella speranza dei padri che migrano tra mille rischi e peripezie in cerca di un futuro migliore; nella speranza dei bambini che riescono a giocare, sorridere e credere nella vita anche fra le macerie delle guerre e nelle strade povere delle favela. Essere testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo. Raccontare storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro”.