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Secondo l’Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie, sono 230 gli edifici sottratti alla criminalità in Emilia Romagna che potrebbero in parte esser destinati ad accogliere i rifugiati.
Alla Regione Emilia Romagna, sulla base di quanto dichiarato dall'Assessore regionale alla legalità, Massimo Mezzetti, 'risultano soltanto 104 beni confiscati, e di questi soltanto 37 già assegnati ai Comuni'. Numeri che variano, quelli dei beni sottratti alle mafie e potenzialmente disponibili ad essere riconsegnati alla società civile, sulla base del fatto che c'è differenza tra beni solo sequestrati o confiscati (cosa che avviene solo a sentenza definitiva), e sulla base della tipologia dei beni. Tra questi, oltre ad immobili di ogni tipo, solo una parte sono abitazioni. Diversi sono garage, capannoni o in molti casi, strutture al servizio di ditte. E non sempre in buone condizioni, anzi.
Oggi l'emergenza profughi e gli indirizzi del Governo centrale hanno riportato l'attenzione sul tema dell'utilizzo dei beni sequestrati alle mafie; un'attenzione che era solo sopita. Il tema, infatti, ha assunto negli ultimi anni sempre più rilevanza, anche in Emilia-Romagna, dove l'infiltrazione ed il radicamento mafioso è emerso in tutta la sua forza ed i processi chiusi ed in corso lo hanno dimostrato. Un tema che proprio a causa dei numeri dei beni collegati alle mafie, in costante aumento a seguito delle sentenze definitive che li renderanno disponibili, assumerà sempre più rilevanza a livello politico ed istituzionale. Anche perché la gestione di questi beni richiederà e catalizzerà ingenti finanziamenti pubblici oltre ad innegabili slanci morali ed etici.
Ma i tempi sono lunghi.
L'Assessore regionale alla legalità Massimo Mezzetti su questo tema ha nuovamente sottolineato la 'lentezza dell'Agenzia Nazionale che forse a causa di un sottodimensionamento di organico non riuscirebbe a gestire con tempi consoni le procedure per rendere utilizzabili gli immobili confiscati al servizio della comunità', attraverso i comuni, gli enti enti locali e, da questi, alle associazioni.
Un tema complesso (il tentativo avanzato lo scorso anno in Emilia Romagna attraverso un protocollo elaborato da tecnici e studiosi di diritto era quello di rendere disponibili i beni, anche in forma temporanea e per impedirne il deperimento in attesa della confisca, già dalla fase di sequestro, accellerandone i tempi per il loro utilizzo), al quale, come spesso accade, le istituzioni italiane non riescono a dare, anche quando le danno, risposte semplici. Le procedure non partono o rallentano ed i numeri lo confermano.
Dal 2011 al 2016 in Emilia-Romagna sono stati sottoscritti solo sedici Accordi di Programma riferiti a nove beni immobili confiscati, con un contributo regionale di oltre 1 milione di euro. Nessuno di questi a Modena.Gli interventi finanziati hanno riguardato il recupero per finalità sociali di beni immobili confiscati nei comuni di Ferrara, Forlì, Ravenna, Pianoro (Bo), Gaggio Montano (Bo), Pieve di Cento (Fe), Berceto (Pr), Salsomaggiore Terme (Pr) e Cervia (RA).
Modena, dove i beni confiscati alla mafia risultavano (dati aggiornati un anno fa), 35, nessun progetto è stato avviato. Praticamente la metà di questi (immobili, case, rimesse, aziende), sono concentrati a Nonantola, collegati alla rete creata, soprattutto in campo edile, da Antonio Iovine, boss dei Casalesi che aveva costruito un piccolo impero. Nel resto della provincia, cinque beni confiscati sono nel Comune di Modena, due a Castelfranco, cinque a Maranello e sei a Formigine.
Potrebbero diventare ufficialmente disponibili i tanti che sono emersi collegati ai boss che operavano nella bassa Modenese ed i cui intrecci sono emersi durante il processo Aemilia.
Ma i tempi dei processi sono lunghi e finché non si arriva a sentenza definitiva la confisca non può avvenire e con essa non può avvenire la riassegnazione del bene a disposizione della società civile.
Gianni Galeotti
Foto: Archivio