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Il giudice Massimo Donnarumma del tribunale civile di Firenze ha condannato Marco Travaglio e la società editoriale Il Fatto Quotidiano a pagare in solido gli 80.000 euro e anche le spese di lite per 8.433 euro in favore di Matteo Renzi, che invece aveva chiesto un risarcimento di 2 milioni di euro. La sentenza ritiene la somma equa e congrua per liquidare il 'pregiudizio diffamatorio' tenuto conto - si legge - dell'uso della testata di ampia diffusione; dell'uso sistematico dell'epiteto 'bullo' assurto a nomignolo; del frequente uso di una tecnica allusiva ed insinuante (più difficile da contrastare); della reiterazione degli illeciti in una 'campagna stampa denigratoria espressiva di un dolo di preordinazione finalizzato all'attacco alla persona'; del ruolo istituzionale di Renzi (già premier, ora senatore); della risonanza mediatica delle pubblicazioni de Il Fatto.
Il giudice distingue i casi di diffamazione da quelli in cui Travgalia esercita legittimo diritto di cronaca, di critica e pure di satira rispettando i limiti di continenza.
Diffamazione è rilevata dal giudice in editoriali e articoli di Travaglio laddove Italia Viva è 'rappresentato come partito di delinquenti' e Renzi 'come politico inserito in un contesto di illegalità, che accoglie nel partito solo delinquenti' offendendo 'la sua reputazione politica e personale'; nelle insinuazioni su reati compiuti nell'inchiesta Open (scrivendo di soldi dati da imprenditori in cambio di favori) quando invece i 'gravi fatti di rilievo penale sono ancora oggetto di indagine e non giudicati da sentenza definitiva'; nel numero di volte - 51 - in cui Travaglio e Il Fatto danno l'appellativo di 'bullo' a Renzi, dal 2014 al 2020, il cui uso sistematico supera i limiti esterni del diritto di cronaca, di critica e di satira.
L'uso ripetitivo, afunzionale di 'bullo' 'è parola negativa che lede l'onore e l'identità personale di Renzi' e lo 'demolisce' veicolando nell'opinione pubblica connotazioni di arroganza e prepotenza.
Gli altri epiteti usati, pur forti e graffianti - mollusco, disperato, cazzaro, criminale, mitomane, stalker, ducetto -, sono giudicati compatibili con i diritti di critica e satira, anche perché non continuamente ripetuti. Non c'è diffamazione, ma satira, quando Travaglio ironizzò sui pm che prima cercavano il 'mostro di Scandicci', ora il senatore di Scandicci, collegio elettivo di Renzi, né nel titolo 'Odo Gelli far festa' per la stessa opinione di Renzi col venerabile maestro della loggia P2 sulla separazione delle carriere dei magistrati, né sulle critiche alla ricerca di attività lucrative, tipo da conferenziere, che Renzi persegue e che Travaglio stigmatizza in ordine al ruolo di politico.
'Stamani Marco Travaglio e Il Fatto Quotidiano sono stati condannati a risarcirmi ottantamila euro più le spese e gli interessi per avermi ripetutamente diffamato. Per anni ho subito in silenzio, sbagliando.
La condanna di oggi non azzera le sofferenze per il passato ma pone una domanda agli addetti ai lavori della comunicazione: come può un diffamatore seriale che ha una collezione record di condanne continuare a fare la morale agli altri tutti i giorni in TV? Mistero - afferma Renzi -. Intanto un pensiero alla mia famiglia che ha dovuto subire il peso di tutte le infamie e a tutti gli amici che non ci hanno mai abbandonato'.
Redazione Pressa
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