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'L'Emilia non è terra di mafia, nel senso che la mafia non è nata qui. Ma è una terra in cui la mafia è radicata ed ha il controllo del territorio, che vuol dire anche di un solo settore. Qui c'erano gli anticorpi strutturalmente formati sul fascismo, ma la mafia è altro'. Parola di Stefania Pellegrini, docente all'Università di Bologna, nella prima lezione di un seminario (l'altra è fissata il 25 ottobre) organizzato a Reggio Emilia nell'ambito delle iniziative previste dalla legge regionale sulla legalità del 2016. Con riferimento alla Ndrangheta la docente spiega che 'è ormai una multinazionale' che si è espansa 'seguendo un disegno strategico ben preciso' che rispondeva a tre necessità. Quella 'di espandere i suoi traffici illeciti, droga in particolare', di 'sfruttare la facilità di mimetizzazione di cui poteva godere in territori dove non era conosciuta' e, per alcuni esponenti, 'fuggire dalle guerre di mafia dove c'era un problema di incolumità fisica'.
Quanto alla legge sul 'soggiorno obbligato', rimasta in vigore dal 1965 al 1995, secondo Pellegrini non basta da sola a spiegare la penetrazione dell'associazione mafiosa al nord. 'E' una legge che ha creato di certo danni immani, facendo l'opposto di quello che si era prefisso, cioe' isolare i mafiosi. Ma non puo' essere l'unica ragione'. Infatti, 'se in Emilia-Romagna dal 1961 al 1975 sono stati sottoposte a questa misura misura 3.562 persone a Buccinasco, definita la 'Plati' del nord', non c'e' mai stato nessun soggiorno obbligato'. Nel cortocircuito creato dalla normativa 'l'elemento che è mancato - spiega dunque Pellegrini - è stato quello dell'appetibilità dei territori di destinazione, tenendo presente che la ricchezza per la mafia non è la finalità ma lo strumento per il potere'.
Redazione Pressa
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