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Abbattere la barriera tra il mondo degli adulti e degli adolescenti riguardo al problema dell'assunzione da parte dei giovani delle sostanze stupefacenti, amplificato dal velo di proibizionismo spesso controproducente in un'età di debolezza e trasgressione. É questo l'intento dell'aspirante giornalista e scrittore modenese Andrea De Carlo, già narratore del racconto legato al Modena Calcio nell'antologia «Il Campionato degli Italiani», nel suo romanzo d'esordio «Bianca Neve» (Edizioni del Loggione, disponibile nelle principali librerie di Modena e provincia e online sul sito della casa editrice e su Amazon).
Nel libro, attraverso la storia di Ilaria, una comune ragazza che vive all'ombra della Ghirlandina, viene incarnato il dramma di chi troppo spesso cade nella trappola della polvere bianca, dapprima «sollievo» inconscio dalle proprie difficoltà, prima degli inevitabili effetti deleteri.
L'autore riesce ad addentrarsi nella mente della protagonista, descrivendo le sue ansie, paure, dubbi e desideri, in una storia di vita tanto struggente quanto realistica, elemento che fa trasparire come quella legata alla droga sia una piaga da cui nessuna famiglia possa considerarsi esente. Ecco perché tale problematica va affrontata in termini nuovi, eliminando lo scarto di comunicazione tra i due interlocutori con l'aiuto delle istituzioni. Un processo ancora lungi dall'essere completato, ma a cui De Carlo contribuisce dando occasione a genitori e ragazzi di riflettere sull'azione nella psiche e nell'organismo umani delle sostanze stupefacenti.
Andrea, è un normalissimo giorno di scuola, in cui viene organizzata l'ennesima conferenza sull'assunzione delle droghe, legata alla correlazione fra ebbrezza da alcol/sostanze stupefacenti e incidenti stradali. Cosa ti spinge a presentare il tuo progetto al Commissario Municipale di Modena Andrea Piselli, presente in quella occasione, autore della prefazione?
«A fine febbraio era maturata in me l'idea del romanzo. Per scriverlo, dovevo immergermi in maniera viva sul tema, non solo leggendo libri che trattassero l'argomento. Ad inizio marzo, diciamo che questa assemblea è calzata a pennello: da come parlava, ho notato che la figura del Commissario potesse fare al caso mio. In seguito, ho scoperto che si è occupato di queste problematiche quando lavorava nell'Unità Operativa di Bologna. Quando mi sono proposto, gli ho lanciato la sfida, che rappresenta l'intento del libro: togliere l'aura di mistero che avvolge le droghe, in modo c h e non vengano intese come proibite, bensì come sostanze che possono ad un primo impatto suscitare sensazioni positive, ma risultare assolutamente molto spiacevoli ».
A tuo avviso, in cosa consiste lo scarto di comunicazione tra adulti e adolescenti riguardo al problema della droga? Cosa potrebbero fare i genitori?
«Mi sento di dare un consiglio ai genitori da figlio prima che da scrittore: è necessario parlare con i ragazzi sin da subito, non solo di temi come questo, ma iniziare il dialogo educativo da quando sono piccoli per instaurare un rapporto. Se non c'è dialogo non c'è collaborazione, se non si ha comunicato prima è molto difficile farlo all'età di quattordici - quindici anni, quando il problema della droga comincia a presentarsi. Se invece parliamo di scarto comunicativo, posso dire che questo è un concetto molto più semplice di quanto si pensi. E' un fatto generazionale: un adulto riesce a percepire che se prima una sostanza ti fa sembrare di star bene poi ti farà male, per un adolescente conta il 'qui e ora' e risulta difficile comprendere il modo di pensare dei propri educatori ».
Hai presentato il tuo libro ai ragazzi, insieme a figure professionali che si occupano di questi temi. Quanto è difficile parlare ai giovani di una questione tanto vicina a loro quanto delicata?
«Non è semplice, ma il fatto che i ragazzi si confrontino fra loro può essere una chiave positiva per più argomenti. Da studente, vedo che manca molto il confronto: veniamo coinvolti in diverse conferenze ed iniziative, ma non c'è tempo per dire la propria opinione. Sarebbe bello condividere le proprie impressioni sul tema delle droghe, proponendo una tesi che può essere messa in discussione e riflettendo su diversi aspetti, come il ruolo dei genitori, sul perché gli adolescenti provano queste sostanze e via dicendo, trovando una serie di domande a cui cercare di rispondere tutti insieme».
Dopo alcuni capitoli, sono inseriti approfondimenti sulle sostanze stupefacenti e i loro effetti, pensi che ci sia abbastanza disinformazione in merito?
«Sì ma non per particolari problemi comunicativi. Semplicemente, non se ne parla, non c'è vera informazione su quello che sono le droghe al di là della tv o di qualche dibattito pubblico, non so se per colpa nostra, a causa della nostra pigrizia, o perché non ci vengono forniti i mezzi necessari. Il fatto più preoccupante è che ci sia disinformazione specie tra i giovani che assumono droga giusto per sperimentare o per sentirsi grandi, senza sapere come agiscono tali sostanze».
Quanto pensi che sia importante la collaborazione tra i ragazzi nell'affrontare un problema simile?
Ritengo che sia fondamentale, non aspetto altro che avere le loro impressioni, può servire a me, a loro stessi e anche ai docenti e ai genitori per capire le esigenze delle persone che sono chiamati ad educare. La loro testimonianza è vitale per questo progetto, poiché sono loro i diretti interessati e, in quanto tali, penso che si possa imparare più da loro che dagli esperti in materia».
Credi che la scuola debba insistere su attività simili volte all'educazione e alla sensibilizzazione prima che a fornire nozioni?
«Assolutamente sì, la prevenzione si fa con l'informazione, approfondendo questi temi con un coinvolgimento degli alunni in prima persona e con progetti in cui gli studenti siano parte attiva, senza contare che i ragazzi sono interessati a questi argomenti, motivo per cui queste iniziative troverebbero il loro sostegno. La droga del momento, la cocaina, risponde ai bisogni della società odierna, in quanto permette di aumentare i ritmi personali e la propria capacità di pensiero, nel contesto della velocizzazione della vita quotidiana in cui siamo immersi. Tuttavia, più si assumono queste sostanze più il nostro cervello si surriscalda e, se lo assimiliamo ad una lampadina, si fulmina o, peggio, scoppia: è il passaggio dalla cosiddetta fase rush alla fase down, quest'ultima sintomo di depressione, intesa come abbattimento, spossatezza fisica quando la droga viene a mancare. Non voglio dire che l'assunzione di sostanze stupefacenti sia 'inevitabile', ma in una società che spinge l'uomo di oggi oltre i propri limiti, la droga dà in un primo momento quel 'sollievo', in realtà passeggero ed effimero, che la fa diventare come l'apparente via più semplice».
E' chiaro che le istituzioni hanno un ruolo determinante in questa direzione...
«Secondo me le istituzioni, negli ultimi anni, hanno preso più a cuore il tema legato alla droga con molte iniziative. Da studente, apprezzerei un tentativo degli esperti del settore di portarsi alla pari dei ragazzi e di capire cosa non va per evitare che essi facciano uso di queste sostanze, con un orecchio molto teso verso i più giovani. Se vengono ascoltati, essi riescono a dare la chiave del 'prima', ovvero in cosa si sbaglia nella prevenzione del dramma e che quindi li porta a cadervi. Sarebbe bello creare una sorta di 'tavola rotonda' con giovani, genitori, docenti ed addetti ai lavori per affrontare questo problema, che, come scritto dal Commissario nella prefazione, prima che analizzato va soprattutto comunicato».
Mattia Bannò