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La storia dimenticata dei preti operai di Modena

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I preti operai iniziarono a lavorare in Francia durante la Seconda guerra mondiale e, dalla fine degli anni Sessanta, anche in Italia


La storia dimenticata dei preti operai di Modena
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Martedì 9 gennaio alle 18 a Palazzo Europa di Modena si terrà la presentazione del libro di Giuseppina Vitale “L’anima in fabbrica, storia, percorsi e riflessioni dei preti operai emiliani e lombardi (1950-1980)”. Il volume sarà presentato in collaborazione con il Centro culturale Francesco Luigi Ferrari: interverranno la professoressa Marta Margotti (Università degli Studi di Torino), autrice della prefazione, e il professor Giorgio Vecchio (Università degli Studi di Parma). Modererà l’incontro Paolo Tomassone, presidente del Centro Ferrari.

I preti operai iniziarono a lavorare in Francia durante la Seconda guerra mondiale e, dalla fine degli anni Sessanta, anche in Italia alcuni sacerdoti entrarono in fabbrica per condividere le condizioni di vita dei lavoratori. Lo sviluppo dell’esperienza italiana assunse caratteri del tutto singolari, anche per le differenze esistenti nelle varie regioni e per la coincidenza con le fasi più turbolente della contestazione nel post-Concilio.

Scegliere il lavoro manuale, per una parte del clero italiano, significò non soltanto un tentativo di ritorno alle comunità cristiane delle origini, ma pure partecipare attivamente alle lotte sociali e politiche che stavano investendo la società. Il caso emiliano e quello lombardo, ora presentati nel libro, permettono di conoscere in maniera ravvicinata le riflessioni di natura teologico-pastorale e le scelte politico-sociali, costantemente al centro delle discussioni nei convegni nazionali del collettivo dei preti operai italiani e della loro azione a livello locale.

Il volume si pone anche l’obbiettivo di tracciare un bilancio su quanto sinora prodotto in merito alle riflessioni elaborate dai preti operai italiani e di contribuire ad aprire una nuova prospettiva interpretativa, soprattutto in relazione al caso nazionale, che presenta lacune sul piano storiografico.

Un caso che starebbe a dimostrare la presenza non solo di quella che, da un punto di vista teologico-pastorale, Natalie Viet-Depaule ha definito come una «stratégie de présence», ma di una vera e propria rilettura politico-sociale dell'impegno sacerdotale nella società moderna. 

Tra il 1973 e il 1977, gli “anni caldi dei preti operai italiani”, affiorò una figura ibrida che oscillava convintamente tra il sacerdozio e il lavoro manuale. Ciò che partorì il gruppo dei preti operai italiani - mai compiutamente unito, diversamente dai confratelli d'oltralpe e frammentato nei diversi sottogruppi regionali - fu un acceso dibattito sulla libertà di scelta nella vita sociale e politica, che si inserì, acuendola, nella crisi dell'unità politica dei cattolici. Il Referendum sul divorzio del 1974 mise in scena chiaramente tale crisi e generò nuove consapevolezze: la partecipazione politica, l'autonomia decisionale e soprattutto la lotta di emancipazione sociale vissuta a fianco degli operai trasformò profondamente la vocazione religiosa. Mentre in Francia, come ha sostenuto Ètienne Fouilloux, l'esperienza dei «prêtres-ouvriers» fu considerata come una delle più audaci soluzioni missionarie, in Italia il cammino dei preti operai s’inserì in un progetto di democratizzazione che, sull’onda dei documenti conciliari, coinvolse laici, presbiteri e militanti di sinistra senza separazioni gerarchiche o di status. 
La ricostruzione storica si basa su un’ampia documentazione, prevalentemente inedita, proveniente da vari fondi dell'Archive du Prado di Limonest (Lione), dell'Archive historique du diocèse de Paris, dell’Archivio Storico Diocesano di Milano, del Centro Culturale Francesco Luigi Ferrari di Modena, degli archivi privati dei sacerdoti Giuseppe Dossetti jr (Reggio Emilia) e Luigi Consonni (Milano). 


Redazione Pressa
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