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“Ci siamo conosciuti e riconosciuti, siamo diventati qualcosa in più che semplici atomi in corsa in mezzo al traffico agli ordini di un computer”, questo è quanto si legge sulla pagina Facebook di Deliverance Project, in occasione dello sciopero spontaneo dei rider di Deliveroo che si è tenuto a Torino il 21 marzo scorso.
'Leggiamo in queste ore che Modena, nel contempo, è divenuta la quindicesima città italiana in cui la società inglese, colosso multinazionale delle consegne a domicilio, ha iniziato a fornire i propri servizi - così in una nota la Cgil Modena -. Servizi che, a detta della multinazionale, servono a contribuire alla crescita socioeconomica delle città nelle quali vengono svolti e offerti, nonché a offrire sempre più lavoro e opportunità per i riders (i fattorini che consegnano a domicilio) e i ristoranti partner.
L’anno scorso Deliveroo è cresciuta del 25% e ha raggiunto i 1600 “collaboratori” a livello nazionale. E vogliamo concentrarci su questo aspetto. Perché pare che non si tratti di lavoro vero e proprio, ma di collaborazioni più o meno fittizie, eterodirette e manipolate che celano un rapporto a cottimo che ha tutte le caratteristiche di rapporti di lavoro che pensavamo relegati al 19° secolo, piuttosto che alla modernità di quella che viene definita “Net economy” o più propriamente “Gig economy”. La Gig economy è la “società dei lavoretti”, dove il lavoro, costituzionalmente inteso diviene il grande assente o assume contorni evanescenti, svuotati dai diritti sindacali minimi e manipolati dalle imperanti logiche della flessibilità imposte dalla globalizzazione e da sistemi informatici che determinano, in positivo o in negativo, la nostra partecipazione attiva e il nostro impegno lavorativo secondo algoritmi che rendono il lavoratore estremamente ricattabile.
La caratteristica di questi lavori è di non avere un salario contrattuale, ma di essere assunti come collaboratori ed essere pagati a consegna (a cottimo dunque). Un sistema informatico predetermina le consegne da effettuare e dunque il nostro impegno lavorativo. Va da sé che più io sarò disponibile e flessibile in termini fasce orarie e meno mi ammalerò e meno porrò questioni dal punto di vista del diritto minimo sindacale, più l’algoritmo mi “premierà” dandomi più consegne. E’ chiaro il meccanismo vessatorio e ricattatorio di uno schema di questo tipo e le conseguenti ricadute in termini di condizioni di lavoro e rischio per i lavoratori. Il rischio per la salute e la sicurezza è infatti il secondo aspetto che maggiormente ci preoccupa. Forzando i lavoratori a divenire “atomi in corsa in mezzo al traffico” si mette a repentaglio la loro stessa integrità psicofisica (è di una decina di giorni fa la notizia di un rider investito da un autobus a Bologna) e questo solo per garantirsi qualche euro in più'.
'Tutto ciò, con qualsiasi condizione meteorologica, senza diritto alla malattia o all’infortunio e senza la garanzia di un salario minimo degno di questo nome o peggio ancora, senza la corretta e dovuta applicazione contrattuale. Recentemente, a dicembre 2017, il contratto nazionale della logistica, ha recepito la figura professionale del rider, dando una cornice e un inquadramento contrattuale a questa figura di lavoratore che sempre più si sta imponendo nella moderna economia. Crediamo, come CGIL, che questi lavoratori abbiano diritto a un contratto e un salario corretto e dignitoso, nonché alle tutele normative di ogni altro lavoratore e chiederemo alle istituzioni e ai soggetti preposti di prestare la massima attenzione e vigilanza all’ingresso di questi soggetti economici, che stanno rivoluzionando il mercato all’insegna di nuovi e inaccettabili meccanismi di sfruttamento del lavoro'.