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Ermes è Modena. Pulita dalla retorica e dall'apparenza. Accogliente e generosa, scorbutica e mai servile. E' Modena depurata dal dover essere e dai lustrini e paiettes che negli anni hanno ricoperto le sue officine e le sue campagne. Le sue fabbriche e le sue chiese.
Ermes è l'amore per Modena. Per come era ieri e per come è oggi. Un amore che preferisce una battuta a una polemica, un sorriso a una offesa. E' l'amore per la terra in cui Dio ha deciso di farci nascere, una terra alla quale si è deciso di restare aggrappati ogni giorno, fino alla fine. Coi propri limiti e con le proprie grandezze, con errori e meriti.
La via Emilia, le strade strette strette che si accavallano e si conoscono a memoria, come i corridoi di casa.
E piazza Matteotti è la sala da pranzo, piazza XX settembre la tavernetta, in mezzo il salone di piazza Grande con il lampadario di cristallo e lo spettacolo del giardino di piazza Roma.
Ermes è Modena, con le mani grandi e spesse e gli occhiali che sembrano incastonati nel sorriso, pezzi di un volto che esiste insieme a loro. E sotto la camicia bianca, il grembiule e le bretelle, sempre un po' allargate per non sentirsi soffocare.
E' la Modena in bianco e nero di Enzo Ferrari e di Pavarotti ed è la Modena a colori di oggi, che accarezza il passato senza rimanerci imprigionata e che non invidia il futuro, perchè passato e futuro sono fusi insieme e sono parte della stessa storia.
La propria.
E' la Modena che si vorrebbe e quella che è in realtà. E con lui l'una e l'altra non fanno a pugni.
In ginocchio in Duomo o seduti al tavolo della briscola, non importa. Imprecando contro il sindaco, il vescovo e il farmacista o sorridendo davanti a un bambino col gelato mezzo sciolto tra le dita. Perchè il suo sorriso in fondo è quello che ogni uomo, ricco o povero, potente o disperato, ha dimenticato chissà dove. Chissà quando, per rimpiazzarlo con una smorfia.
Ermes è una storia come tante, squarcio di tempo di una eternità che non esiste, se non la si nomina. O forse esiste davvero, perchè coincide col proprio di tempo. Col proprio spazio. Col tempo infinito delle galassie, con gli abissi dei buchi neri e la meraviglia delle supernova, scandito dai rintocchi del campanile o dal ticchettio dell'orologio appeso in sala, perchè al polso delle lancette non c'è bisogno.
La moglie alla quale stringere la mano ancora, dopo 50 anni. Per sentirsi a casa. Anche quando ormai si è stanchi e un po' confusi. Per guardare le stelle ed essere felici di poterlo fare coi piedi piantati a casa. A Modena.
I tortellini e le lasagne, il ragù e il gnocco fritto... E il lambrusco. Quel bicchiere almeno per un attimo metà nero e metà bianco, di una schiuma leggera e che non si lascia prendere.
Il dialetto.
Ermes è questo. E questo esiste a prescindere. Questo è 'per sempre'.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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