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Ieri gli Stati Uniti hanno concretizzato il loro ritiro formale dal trattato Inf (Intermediate Range Nuclear Forces), siglato nel dicembre 1987 da Stati Uniti ed Unione Sovietica. Pietra miliare del tramonto della guerra fredda, con il trattato Inf le due superpotenze decisero di smantellare dai rispettivi arsenali i missili a gittata medio-breve, cioè in grado di colpire bersagli tra i 500 e 5500 chilometri di distanza dal punto di lancio. Il trattato Inf si applicava solo ai missili lanciati da terra e non a quelli lanciati dalle navi o dagli aerei. Grazie a questa intesa, Stati Uniti e Unione Sovietica smantellarono diverse centinaia di missili dall'Europa.
Bene, questo trattato – che per oltre trent'anni ha evitato una corsa agli armamenti tra le due più grandi potenze nucleari del pianeta – non esiste più. Merito degli americani che hanno deciso di tirarsi fuori.
La giustificazione ufficiale – secondo quanto dichiarato dal segretario di Stato Mike Pompeo – è che la Russia negli ultimi anni ha sviluppato un missile che viola i termini del trattato. Già nel 2014 gli americani rivolsero ai russi simili accuse. In risposta, Washington svilupperà a sua volta un missile a gittata medio-breve mentre Mosca ha ovviamente smentito le accuse.
Ma credere che gli americani si ritirino solo perché la Russia ha violato l'accordo è ingenuo e semplicistico. Il fatto è che il trattato Inf non vincolava la Cina – principale rivale degli Stati Uniti nel XXI secolo – che negli ultimi anni non solo si è dimostrata aggressiva nel Mar Cinese Meridionale e nei confronti di Taiwan, ma ha anche rafforzato e modernizzato le proprie forze armate.
Un nuovo accordo sul controllo delle armi nucleari tra Stati Uniti, Russia e Cina.
È questo ciò che vuole il presidente americano Donald Trump. Sebbene disponga di un arsenale nucleare inferiore a quello di Washington e Mosca, Pechino può installare sul proprio territorio missili a gittata medio-breve in grado di colpire gli alleati degli Stati Uniti nella regione e la base americana di Guam, nel Pacifico occidentale. Considerando le mire cinesi su Taiwan, i missili a breve gittata rappresentano anche un deterrente notevole nei confronti delle aspirazioni indipendentistiche di Taipei.
L'amministrazione Trump si è approcciata al trattato Inf come ha fatto con l'accordo sul nucleare iraniano del luglio 2015. Si è ritirata unilateralmente presentando al mondo intero il fatto compiuto e costringendo i firmatari ad intraprendere un nuovo negoziato. L'Iran per il momento non ha ceduto alle pressioni americane e l'unico risultato tangibile del ritiro statunitense è stato un pericoloso incremento della tensione nel golfo Persico. Se e quando Stati Uniti, Russia e Cina firmeranno un accordo per contenere la corsa agli armamenti non è dato saperlo. Per il momento, l'unica certezza è che Russia e Stati Uniti non hanno alcun vincolo che possa impedire loro di sviluppare nuovi missili a gittata medio-breve.
La fine del trattato Inf ci ricorda anche un importante dato di fatto. A partire dalla fine della guerra fredda l'equilibrio di potenza globale si è progressivamente modificato. La Cina è diventata la rivale numero uno degli Stati Uniti. Pechino sta già mettendo in discussione la supremazia economica globale americana ma con le sue mire su Taiwan e nei mari cinesi lancia una sfida allo status quo garantito dagli americani nella regione dell'Indo-Pacifico.
Questo decennio sembra aver testimoniato il ritorno della competizione globale tra grandi potenze, risultato di un'egemonia americana in declino e contestata da diversi attori. Il ritiro americano dal trattato Inf è un segnale di questa rinnovata competizione. Le nubi all'orizzonte sono grigie e se Stati Uniti, Russia e Cina non dovessero siglare un nuovo accordo sul controllo delle armi nucleari potrebbero farsi nere. Come ha giustamente ammonito il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il mondo ha perso un importante freno alla guerra nucleare.
Massimiliano Palladini
Redazione Pressa
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