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Conclave fuori dal Vaticano. Così qualche buontempone ha definito il passaggio della segreteria del Pd da Zingaretti a Letta. Con una elezione 'a distanza' del tutto tutta anomala, senza una discussione approfondita sugli obiettivi politici del futuro, senza chiarimenti e spiegazioni sul comportamento del Pd nel primo e nel secondo governo Conte, senza decidere cosa vuole fare il Pd oggi nel governo Draghi con dentro tutti, quale strategia ha per il futuro a partire dalla elezione del Presidente della Repubblica e quali alleanze per le prossime politiche. Niente di tutto questo. E' stata la elezione di un nuovo segretario senza spiegare contenuti, idee e progetti per il dopo, con il solito scontato rituale appello alla unità, e la conta tra i leader delle tre correnti più importanti che sono i tre ministri del partito al governo: Franceschini, Orlando, Guerini.
E senza che nessuno abbia chiesto a Zingaretti conto della sue gravi dichiarazioni sul partito “del quale si vergogna”. E così, senza battere ciglio e senza fare una piega, i tre capi popolo, cioè i tre capi del partito, senza dibattito politico pubblico, per uscire dall'impasse nella quale si trovava il Pd, ha pensato ad Enrico Letta, invitandolo a lasciare la sua cattedra universitaria di Parigi per tornare a Roma e prendere in mano la baracca.
Roba da far rivoltare nella tomba Berlinguer che aveva lasciato un Pci in salute, con una politica, una strategia, un patrimonio di idee e di valori. Al punto tale da fare dire ad un vecchio comunista come Claudio Velardi, cresciuto nella Fgci e nel Pci, giornalista dell'Unità e portavoce di D'Alema quando questi era presidente del consiglio, che “i vertici del Pd si sono fatti compatire quando hanno tentato di salvare il governo Conte con gli slogan 'O Conte o morte, mai con Salvini, mai più con Renzi', finendo invece nel governo Draghi coi salviniani, coi renziani e con Forza Italia.
Hanno insomma sbagliato tutto, non ne hanno imbeccata una, sono alla frutta, sono caduti nel ridicolo”. Aggiungendo polemicamente che la presunta superiorità morale dei dirigenti del Pd ex diessini non esiste perchè deriva dalla cultura politica post comunista, quella che faceva riferimento all'orgoglio della 'ditta' e alla appartenenza al mito e alla storia della sinistra e che faceva della conservazione del potere un tomen assoluto. Ma ora la componente cattolica di provenienza Dc non potrà restare ancora a lungo in silenzio”.
Una bocciatura su tutta la linea è venuta anche dallo storico leader della Cgil e di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti che ha definito la elezione di Letta “una operazione di palazzo” aggiungendo che i vertici del Pd “sono completamente distaccati dai lavoratori e dal proprio tradizionale elettorato. Un partito senza un rapporto identitario con la vecchia sinistra e che, di fronte alla mancanza di riguardo per la rappresentanza femminile, cerca di correre ai ripari rispolverando l'argomento delle quote rosa, offensivo per la capacità e la preparazione delle donne che infatti si sono offese di fronte a questo maldestro strumentale tentativo di rimediare all'errore compiuto nella formazione del governo”.
Cesare Pradella
Cesare Pradella
Giornalista pubblicista, è stato per dieci anni corrispondente da Modena del Giornale diretto da Indro Montanelli, per vent'anni corrispondente da Carpi del Resto del Carlino, per cinque.. Continua >>