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L'Osservatorio Geofisico di Unimore ha pubblicato una nuova ricerca che esplora le tendenze di riscaldamento locali a Modena e sul Monte Cimone. Per la prima volta, lo studio quantifica il contributo del fenomeno dell’isola di calore urbana (UHI) a Modena, fornendo nuove intuizioni sull'impatto dell'urbanizzazione sulle temperature locali.
Lo studio “A comparative analysis of temperature trends at Modena Geophysical Observatory and Mount Cimone Observatory, Italy” è stato appena pubblicato in modalità open access sulla prestigiosa rivista International Journal of Climatology della Royal Meteorological Society. Condotto dai ricercatori Sofia Costanzini, Mauro Boccolari, Stephanie Vega Parra, Francesca Despini, Luca Lombroso e Sergio Teggi, questo lavoro rappresenta un importante contributo alla comprensione dei cambiamenti climatici su scala locale.
L'analisi si basa su dati provenienti da due stazioni meteorologiche storiche: l'Osservatorio Geofisico di Modena, situato in area urbana, e l'Osservatorio di Monte Cimone, posto a 2165 metri di altitudine in libera troposfera.
A differenza di molti studi basati su “reanalisi” – cioè ricostruzioni modellistiche di dati passati – questa ricerca utilizza dati osservati direttamente, garantendo una maggiore precisione nelle conclusioni: Modena e il Monte Cimone vantano infatti serie storiche meteoclimatiche riconosciute a livello internazionale, che risultano peraltro ben correlate in tutte le stagioni.
I risultati dello studio evidenziano trend di riscaldamento significativi in entrambe le stazioni, con un raddoppio delle tendenze nelle temperature massime e minime nel periodo 1981-2018 rispetto al periodo 1951-2018. Ad esempio, a Modena, il trend delle temperature massime ha raggiunto +0,84°C per decennio, mentre sul Monte Cimone si attesta a +0,62°C per decennio. Le temperature minime mostrano un trend di +0,77°C per decennio a Modena e +0,80°C per decennio a Monte Cimone. Questi dati suggeriscono un possibile riscaldamento di ben 8°C in un secolo se i trend attuali dovessero proseguire.
Gli indici climatici estremi mostrano un aumento significativo dei giorni e delle notti calde (TX90p e TN90p), intesi come quelli in cui il valore di temperatura eccede il 90° percentile. A Modena, i giorni caldi sono aumentati di 27,5 giorni per decennio e le notti calde di 29,5 giorni per decennio, mentre sul Monte Cimone l'incremento è stato rispettivamente di 15 giorni e 22 giorni per decennio. Inoltre, i “giorni di ghiaccio” (ID), una volta comuni durante l'inverno a Modena, sono ormai quasi scomparsi, salvo sporadiche apparizioni come durante il “nevone di febbraio 2012” mentre a Monte Cimone si è osservato un drastico calo da circa 110 giorni a 60-70 giorni per anno nell’ultimo decennio.
“In particolare molti ci domandavano, sia dal pubblico generico che in convegni, se il forte riscaldamento osservato a Modena fosse dovuto all’isola di calore - sottolineano i ricercatori -. Ora questo effetto è stato quantificato in modo oggettivo. L’isola di calore è una parte certo importante, ma non basta però da sola a spiegare i cambiamenti in corso a Modena. I trend del Monte Cimone, fuori dal contesto urbano, confermano che gli effetti dei cambiamenti climatici sono inequivocabili anche nel nostro territorio.”
L'effetto dell'Isola di Calore Urbana a Modena ha contribuito fino al 65% all'aumento delle notti calde, con l'urbanizzazione che ha influito significativamente sulla diminuzione dei giorni di gelo (-1,88 giorni per decennio a Modena, con il 37% attribuibile all’urbanizzazione) e sull'aumento delle notti tropicali (+5,16 giorni per decennio su Modena, il 57% attribuibile all’urbanizzazione).
Secondo il Prof. Sergio Teggi, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Geofisico di Modena “Questo studio è particolarmente significativo per noi, poiché valorizza il lavoro di tutti gli scienziati che negli anni hanno contribuito alla raccolta di quasi due secoli di dati climatologici dell’Osservatorio Geofisico di Modena. La storia degli Osservatori Meteorologici in Italia è spesso segnata da periodi difficili, caratterizzati da sfide economiche e logistiche nel mantenere attiva la preziosa raccolta di dati, fondamentali per comprendere i cambiamenti climatici in atto. Questo risultato rappresenta per noi un motivo di grande soddisfazione, coronando e concretizzando gli sforzi di tutti questi anni, a partire dai periodi di maggiore difficoltà dell’Osservatorio tra gli anni ’90 e 2000, fino alla sua riapertura al pubblico nel 2019 dopo i lavori di ristrutturazione finanziati dall’Ateneo e dalla Regione Emilia Romagna. Un ringraziamento speciale va anche al Centro Aeronautica Militare di Montagna di Monte Cimone per la disponibilità e la collaborazione dimostrata in questa ricerca”.
“L’idea di questo studio si distingue per il suo focus locale, un po' in controtendenza rispetto ai lavori più recenti nella letteratura scientifica che spesso considerano decine o centinaia di stazioni per caratterizzare trend a scala nazionale, sovranazionale o globale – aggiungono gli altri ricercatori coinvolti -. Il nostro obiettivo era invece quello di studiare il cambiamento climatico a livello locale, con un’attenzione particolare al bacino Padano e alle peculiarità legate alla forzante antropica a Modena, confrontandole con l’effetto più generale del riscaldamento osservabile presso il Monte Cimone, lontano da attività umane. Il clima sta cambiando, e lo vediamo chiaramente ogni giorno, osservando gli effetti degli eventi estremi. Tuttavia, è essenziale accrescere la consapevolezza su questi temi, avvalendosi di basi scientifiche solide, utilizzando dati certi e validati. L’entità del riscaldamento globale che stiamo sperimentando in questi ultimi anni è allarmante: nello studio si parla di un aumento di 8°C in 100 anni, un dato in linea con altri studi presenti nella letteratura scientifica. Anche le nostre città contribuiscono al riscaldamento attraverso il fenomeno dell’Isola di Calore Urbana, che si manifesta, tra l’altro, con un aumento delle notti tropicali, cioè notti in cui la temperatura minima non scende mai sotto i 20°C. Questo indice è fortemente influenzato dall’attività umana, con un contributo “antropico” che supera il 50%. Questo risultato ci indica chiaramente che dobbiamo lavorare su strategie di adattamento e mitigazione, considerando attentamente sia i contesti regionali che quelli locali”.
Redazione Pressa
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