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Una visione politica capace di leggere, e prevedere, con decenni di anticipo, quella che in parte già era, anche al sud, ma soprattutto sarebbe stata, anche al nord, l’evoluzione del fenomeno mafioso, non solo nei territori nei quali ha avuto origine e sviluppo, ma anche in quelli ritenuti erroneamente (e spesso comodamente almeno fino a qualche tempo fa), immuni dalle infiltrazioni e dal radicamento mafioso. Un fenomeno, lo si è ripetuto spesso, non più codificato dalle stragi di mafia, dagli scontri tra clan a colpi di pistola e fucili, da individui con la coppola, ma quello dei colletti bianchi che si serve, o addirittura controlla, i centri di potere economico, imprenditoriale, influenzando appalti pubblici ed i grandi affari pubblici e privati. Anche in Emilia-romagna.
Una visione, quella di Pio La Torre, che si tradusse in strumento legislativo di prevenzione e contrasto alla mafia con la legge 'Rognoni-La Torre', che introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all'accumulazione illecita di capitali.
Una visione ancora attuale, moderna, quella che faceva da sfondo a quella legge che a 37 anni dalla sua approvazione è ancora un riferimento. Perché da quel 13 settembre 1982 in cui la legge venne approvata se creato una sorta di vuoto, legislativo, che è arrivato ai giorni nostri. E solo in parte colmato dall'universo dell'antimafia che via via è cresciuto, con tutti i suoi meriti e le sue degenerazioni.
La visione di una mafia degli affari, che non spara, dei colletti bianchi, è stata, ed è tutt'ora ancora difficile da individuare, da fare percepire nella sua reale esistenza, nella sua operatività, nella sua capacità pervasiva anche e soprattutto nei livelli più alti delle professioni. Soprattutto in realtà ed in regioni come l'Emilia Romagna in cui fino ad alcuni anni fa, non c'era un metro di paragone per percepire la presenza mafiosa, se non quello legato all'immagine delle stragi e dell'uso delle armi e della violenza. E che relegava il fenomeno mafioso alle regioni del Sud. Una inconsapevolezza dissipata oggi solo in parte dalla realta' emersa dal processo Aemilia. Elementi e considerazioni emerse dalle parole dal figlio di Pio La Torre, Franco, intervistato dal direttore de La Pressa Giuseppe Leonelli, nella prima delle due serate dedicate al tema della legalità organizzate dall’associazione Un.So.Le e da La Pressa, con la collaborazione di Chicco Antico, appuntamento inserito nel calendario del settembre formiginese.
'Sul fronte dell’antimafia si sono fatti enormi passi avanti, sotto il profilo giudiziario, nel numero e nel livello delle operazioni di polizia, così come nella diffusione della cultura antimafia sul territorio grazie all’attività di tante associazioni - afferma La Torre -ma nello stesso fronte ci sono ancora vuoti, che riguardano il mondo della politica e delle istituzioni che non hanno posto il problema nella loro agenda delle priorità'.
In Emilia Romagna c’è voluto il processo Aemilia per risvegliare le coscienze a livello pubblico e privato dal grado di penetrazione e radicamento che la mafia dai colletti bianchi ha raggiunto sul territorio. 'E la sfida, a 37 anni di distanza da quella legge che ne definì i contorni rimane quella: riuscire a percepire la mafia era sue diverse articolazioni all'interno della società'.
A Formigine Pio la Torre è ricordato dal nome di una via e dal premio Pio la torre, attribuito al Comune e sancito da una targa che il sindaco, presente all’iniziativa, ha mostrato al figlio Franco, simbolo dell’impegno sul tema della legalità.